di Stefano Pacini
Metti che una sera a cena si discuta di nonni. Pensavo che quello mio paterno, Santi, battesse tutti come età essendo classe 1890. Macché! Il mio amico Carletto di Follonica tira fuori il suo: Pietro Bertini, nato a Ciciano, nel comune di Chiusdino, nel 1880. E ne racconta la storia che gli hanno tramandato i suoi, oltre ai ricordi personali, visto che Pietro è morto a quasi novant’anni, quando Carletto ne aveva quindici.
Potete immaginare Ciciano e i paesini a cavallo tra la Maremma e il Senese a fine ‘800 ? Povertà, vie di comunicazioni difficili e viaggi fuori paese rari, economia in larga parte di sussistenza, aspettativa di vita media sotto i cinquanta anni. Stato italiano lontano quanto a interventi strutturali, ma presente quando si trattava di reclamare vite “per la patria”.
Pietro viene chiamato a vent’anni sotto le armi. Poco male, si potrebbe pensare, almeno per limiti di età sfuggirà alle mattanze della grande guerra e della seconda guerra mondiale. Sì, ma per una di quelle combinazioni stranissime della vita sarà indirizzato nel corpo di spedizione italiano che nel 1900 parteciperà alla “guerra dei boxer ” ( che i cinesi chiamano con levità poetica “guerra dei pugni generosi”).
Una pagina di storia espletata in poche righe nei manuali scolastici, forse anche per la coscienza sporca di potenze imperialiste occidentali che soffocarono nel sangue una rivolta sacrosanta della popolazione cinese contro la politica di aggressiva penetrazione, arroganza e sfruttamento dei “diavoli bianchi” mascherata da interessi economici coloniali.
L’Italia partecipa baldanzosa alla guerra. A Napoli imbarca il suo corpo di spedizione, duemila soldati e bersaglieri per contribuire a soffocare la rivolta. Tra quei soldati c’è anche Pietro Bertini. Ma non tutti gli italiani muoiono dalla voglia di donare la vita alla patria. Ormai da anni la predicazione socialista e anarchica sta facendo breccia persino nelle remote lande toscane. E’ fresco il ricordo della rivolta per il pane e le barricate di Milano spianate a cannonate con centinaia di morti dal generale Bava Beccaris. Insignito per questo di onorificenza dal Re Umberto I .
E’ il 29 luglio 1900, il piroscafo con il soldato Pietro sta per salpare da Napoli per andare a massacrare in compagnia delle potenze europee decine di migliaia di ” musi gialli “. Al parco di Monza, in quelle stesse ore, Gaetano Bresci, “anarchico, persona elegante, fotografo, dongiovanni, tessitore di Prato emigrato in America” rientrato in Italia per fare giustizia del massacro di due anni prima, uccide a colpi di pistola Umberto I .
La notizia vola grazie al telegrafo per tutto il Paese. Arriva anche sulla nave di Pietro. La comunicano gli ufficiali alle truppe riunite e, nel darla, puntano le pistole contro i soldati, per abbattere all’istante chi avesse manifestato la benchè minima soddisfazione. Questo scena si era fissata indelebile nel soldato di Ciciano.
Il giorno stesso la nave salpa, e dopo aver attraversato il Mediterraneo, il canale di Suez e l’Oceano Indiano, giunge dopo quaranta giorni in Cina. Qui più dei ricordi, riaffiorava a distanza di decenni lo spaesamento di Pietro. Un Paese immenso, brulicante di abitanti, l’ingresso nella Pechino imperiale, i combattimenti ed i saccheggi terribili che dichiarava di non aver approvato né tantomeno di avervi partecipato.
Il ritorno in patria dopo anni, segnato per sempre. Unico tesoro alcuni anelli comprati a Pechino e donati alla sua sposa che, molti anni dopo, li baratterà con collanine per le figlie, uno scambio assai svantaggioso che Pietro non perdonerà mai.
E poi decenni di vita in miniera, alla laveria di Boccheggiano. Che quello era il destino ed una delle poche possibilità di lavorare di Pietro Bertini da Ciciano. Che al nipote Carletto recitava come una filastrocca le parole e i numeri cinesi imparati e raccontava la sua avventura come una novella fantastica.
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