Cristiani di trincea: nella “piccola Roma dell’Iraq” il Pkk difende la comunità caldea dall’Isis

di Riccardo Bottazzo

I bombardamenti francesi e americani a Mosul? Assolutamente inutili. Gli unici che davvero combattono l’Isis? I peshmerga ma soprattutto i combattenti e le combattenti del Pkk. A dirlo è un prete. Ma un prete di frontiera. Anzi, di trincea. Ghazwan Baho, parroco della “piccola Roma dell’Iraq”: Alqosh. Siamo nella piana di Ninive, a ridosso del confine con la Turchia, in quello Stato autonomo ma non dichiarato che è il governatorato di Ninawa nel Kurdistan iracheno. Se salite sull’unico campanile della città e allungate lo sguardo oltre i fumo delle esplosioni riuscite a scorgere il tenue profilo della città di Mosul, neppure 50 chilometri a meridione.

Io ci sono stato per puro caso (volevo andare a Ninive ma avevo sbagliato strada e, soprattutto, momento) con due amici medici, nel 2011, dopo aver assistito ad un social forum ad Erbil che ve lo raccomando come inutile inutilità. Allora le bandiere nere dell’Isis non sventolavano ancora su Mosul. Alqosh era presidiato dai peshmerga. Le postazioni di mitragliatrici e di mortai erano puntate a valle ma si limitavano a controllare i combattenti sunniti dislocati a valle. L’Iraq, anche se nessuno lo ammetteva, era uno Stato che già non esisteva più: le sue piane petrolifere erano già state smembrate tra le aree controllate dagli sciiti e quelle dominate dai sunniti. A nord est, sulle montagne, i curdi costruivano governatorati autonomi. Frontiere che nessuna carta geografica riporta.

La croce di Alqosh stava proprio nel mezzo. La croce, sì. Perché i caldei di Alqosh sono l’unica comunità cristiana del Medio Oriente. Anzi di più. Loro sono i primi cristiani. Prima ancora degli ebrei e dei romani, sono stati oro ad aver accettato il Vangelo ed ad aver costruito le prime chiese.

Adesso, possiamo anche discutere sinché volete se questo possa definirsi un merito… senza dubbio è una verità storica. Ad Alqosh, la piccola Roma dell’Iraq, la popolazione parla ancora l’aramaico, la lingua dei vangeli. E se chiedete a Ghazwan Baho che effetto fa ad un prete, parlare la lingua di Gesù Cristo, ti risponde: “Non siamo noi che parliamo la lingua di Gesù, è Gesù che era ebreo che parlava la nostra lingua”.

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Baho ha una cattedra di aramaico all’università di Roma. Due mesi all’anno lascia Alqosh e viene in Italia a tenere i suoi corsi. L’ho rivisto con piacere due giorni fa in un incontro ad Arco di Rovereto. Mi ci ha invitato quel mio amico medico col quale ero andato in Iraq. Lui è un ex di Potere Operaio e tutte le volte che mi vede, siccome sa che vengo da Venezia, mi chiede “E come sta Toni? L’ultima volta che l’ho sentito era ancora in Francia”.

La serata di Arco, martedì 24 novembre al teatro S. Gabriele, è stata organizzata dall’associazione Versolamesopotamia, che in Iraq gestisce vari progetti umanitari, per presentare il documentario “Le campane di Alqosh” del regista Roberto Spampinato e, in anteprima, un assaggio di un’opera rock dedicata ai profughi, “Quo vadis?”, realizzata dal gruppo Brb in collaborazione col progetto Melting Pot e il centro sociale Bruno di Trento. Di questo lavoro musicale, magari ne parleremo in un prossimo articolo.

La serata di Arco è stata per me, una occasione per salutare Baho, ricambiare quel caffè che mi aveva offerto nella canonica mitragliata di Alqosh e per informarmi di come va la guerra nella frontiera dove si combatte i fascisti dell’Isis.


“Per noi, il momento peggiore è stato il 6 agosto del 2014, quando gli integralisti hanno sfondato la linea e per una settimana hanno occupato la città. In quei sette giorni, per la prima volta da 2 mila anni, le campane di Alqosh non hanno suonato. La popolazione è riuscita a fuggire nelle montagne grazie alla protezione dei peshmerga e abbiamo avuto poche vittime. Con l’aiuto delle combattenti e dei combattenti curdi del Pkk, Alqosh è stata riconquistata una settimana dopo e noi abbiamo ripreso possesso delle nostre case. Dobbiamo solo ringraziare il Pkk. Quello stesso Pkk che l’Europa bolla come terrorista!”

Musulmani che difendono i cattolici. Qualcuno potrebbe vederci una contraddizione…
“Qualcuno che sia disinformato! La battaglia che combattono i peshmerga e il Pkk non è per questa o quella religione ma per la libertà e per difendere le nostre vite. Come cristiano, io aborro la violenza ma, se qualcuno vuole uccidere degli innocenti, sto dalla parte di chi li difende, anche con le armi”.

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Come si vive ad Alqosh oggi?
“La situazione è sempre tesa. Il fronte è pochi chilometri a sud. Ogni notte sentiamo il rombo dei bombardieri francesi e americani che vanno a sganciare i loro carichi su Mosul. pssano proprio sopra le nostre teste”.

Sono utili questi bombardamenti?
“Assolutamente no. A parte finanziare chi vende e costruisce bombe. Più che altro fanno vittime tra la popolazione civile che già è massacrata da quei delinquenti dell’Isis. Le linee militari non vengono assolutamente colpite. Vien da pensare che o siano totalmente incapaci o lo facciano apposta a mancare sempre il bersaglio!”

Cosa ha impedito all’Isis di conquistare Alqosh, a parte la resistenza dei peshmerga?
“Posso darti tre motivi. Il primo è la grande croce che abbiamo costruito in cima alla città e che ci protegge”.

Va bene. Adesso dimmi gli altri motivi?
“La strada che ogni giorno viene percorsa da centinaia di camion carichi di varie merci, armi comprese, che porta da Istanbul al sud dell’Iraq. La pista d’asfalto corre a pochi chilometri a sud di Alqosh, tra noi e le linee dell’Isis. Quella non gliela hanno mai lasciata prendere. Quando ci provano, i bombardamenti franco americani colpiscono gli obbiettivi giusti! Ma forse il motivo principale è un’altro ancora”.

Un’altra croce?
“No. Intendo l’enorme oleodotto che va da Kirkuk, il giacimento di petrolio più grande del mondo, a dove non si sa. Il tubo corre a ridosso dell’autostrada. Neppure quello gli hanno mai lasciato prendere. E’ brutto dirlo, ma è la nostra assicurazione sulla vita”.


Profilo dell'autore

Riccardo Bottazzo
Giornalista professionista e veneziano doc. Quando non sono in giro per il mondo, mi trovate nella mia laguna a denunciare le sconsiderate politiche di “sviluppo” che la stanno trasformando in un braccio di mare aperto. Mi occupo soprattutto di battaglie per l’ambiente inteso come bene comune e di movimenti dal basso (che poi sono la stessa cosa). Ho lavorato nei Quotidiani dell’Espresso (Nuova Venezia e, in particolare, il Mattino di Padova). Ho fatto parte della redazione della rivista Carta e sono stato responsabile del supplemento Veneto del quotidiano Terra. Ho all’attivo alcuni libri come “Liberalaparola”, “Buongiorno Bosnia”, “Il porto dei destini sospesi”, “Caccia sporca”, “Il parco che verrà”. Ho anche curato e pubblicato alcuni ebook con reportage dal Brasile pre mondiale, dall’Iraq, dall’Algeria e dalla Tunisia dopo le rivoluzioni di Primavera, e dal Chiapas zapatista, dove ho accompagnato le brigate mediche e un bel po’ di carovane di Ya Basta. Ho anche pubblicato racconti e reportage in vari libri curati da altri come, ricordo solo, gli annuari della Fondazione Pace di Venezia, il Mio Mare e Ripartire di FrontiereNews.
Sono direttore di EcoMagazine, sito che si occupa di conflitti ambientali, e collaboro con Melting Pot, FrontiereNews, Global Project, Today, Desinformemonos, Young, Q Code Mag, il Manifesto e lo Straniero. Non riesco a stare fermo e ho sempre in progetto lunghi viaggi. Ho partecipato al Silk Road Race da Milano a Dushanbe, scrivendo reportage lungo la Via della seta e raccogliendo racconti e fotografia in un volume.
Non ho dimenticato la formazione scientifica che ho alle spalle e, quando ho tempo, vado a caccia di supposti fantasmi, case infestate o altri "mysteri" assieme agli amici del Cicap, con il quale collaboro per siti e riviste.
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