Una lettera firmata da più di 500 scrittori e poeti da tutto il mondo chiede all’Arabia Saudita di non uccidere Ashraf Fayadh, poeta palestinese già da alcuni anni nel mirino delle attenzioni saudite per le sue opere, considerate blasfeme. Tra le firme a supporto di Ashraf anche il poeta curdo-siriano Golan Haji, il saggista britannico Simon Schama e il poeta serbo-statunitense Charles Simić.
Noi, poeti e scrittori da tutto il mondo, siamo inorriditi dalla sentenza emessa contro il poeta palestinese Ashraf Fayadh, condannato a morte per apostasia dall’Arabia Saudita.
Non è un crimine avere un’idea, per quanto impopolare, né è un crimine esprimere pacificamente la propria opinione. Ogni individuo ha la libertà di credere o non credere. La libertà di coscienza è un diritto umano essenziale.
La pena di morte contro Fayadh è l’ultimo esempio della mancanza di tolleranza nel Regno dell’Arabia Saudita, dell’assenza di libertà di espressione e della persecuzione dei liberi pensatori.
Noi, poeti e scrittori compagni di Fayadh, esortiamo le autorità saudite a desistere dal punire individui che esercitano pacificamente il loro diritto alla libertà di espressione e chiediamo il suo immediato e incondizionato rilascio.
FIRMA LA PETIZIONE
Ashraf Fayadh, membro dell’organizzazione artistica britannico-saudita Edge of Arabia, era stato inizialmente imprigionato nell’agosto 2013 a causa della sua raccolta di poesie Le istruzioni sono all’interno (Instructions Within – Dar al-Farabi, 2007, Beirut) su segnalazione della temibile Mutawwa (la polizia religiosa saudita, conosciuta come “Comitato per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio”). Rilasciato su cauzione, è stato nuovamente arrestato nel gennaio 2014, senza avere diritto ad una rappresentanza legale.
Stando ai documenti ufficiali, nel maggio 2014 la Corte Generale di Abha è riuscita a dimostrare l’apostasia di Fayadh ma, prendendo atto del suo pentimento, ha fatto cadere questa accusa. Ma è stato lo stesso condannato a 4 anni di prigione e 800 frustate in merito ai diversi capi di imputazione per blasfemia.
Per la ridda (ردة), o “abbandono dell’Islam”, in Arabia Saudita è prevista la pena di morte. E nel novembre 2015 un giudice ha dichiarato che il pentimento non era sufficiente per evitare tale punizione, ribaltando le precedenti sentenze. Una decisione in aperta violazione con l’articolo 18 della Dichiarazione Universale per i Diritti Umani, che dichiara:
Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.
Una delle poesie presenti nella raccolta poetica “Le istruzioni sono all’interno”, bandita dalla distribuzione in Arabia Saudita:
Il giorno dell’espulsione, se ne stavano dritti e nudi,
mentre nuotavi nei rugginosi condotti fognari, scalzo…il che sarà anche salutare per i piedi
ma non per la terra.(traduzione in italiano di Chiara De Luca, dalla versione inglese di Mona Kareem)
È possibile leggere altre poesie di Ashraf Fayadh su Editoria Araba (traduzioni di Jolanda Guardi e Silvia Moresi)
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