Le periferie contro il golpe in Brasile

traduzione di Laura Recanatini per il Resto del Carlinho Utopia

Un insieme di oltre 400 tra movimenti sociali, collettivi culturali, reti, organizzazioni della società civile attivi nelle periferie e nelle favelas di varie città brasiliane hanno lanciato a San Paolo, lo scorso 22 marzo, un manifesto che richiama a una campagna di mobilitazione contro il “golpe” promosso da forze politiche reazionarie, da settori della magistratura, dell’imprenditoria e dei media.

La campagna “Periferie contro il golpe” non ha leader riconosciuti e non si riconosce in alcun specifico partito politico. Non difende il partito di governo, il Partido dos Trabalhadores (PT), di cui denuncia le troppe contraddizioni e che, accusa: “Ci ha concesso solo le briciole mentre stringeva alleanze con chi ci sfrutta”.

Allo stesso tempo si schiera esplicitamente contro chi è sceso in piazza a favore dell’impeachment della presidente Rousseff e protestando “contro la corruzione” (causa giusta, ma sostenuta solo in nome di interessi privati). La via d’uscita dalla crisi democratica e sociale del paese, la conquista di una democrazia effettiva, affermano, non può che passare “attraverso l’allargamento dei diritti e delle conquiste del nostro popolo nero, povero e delle periferie, da sinistra e dal basso verso l’alto”.

Manifesto #PeriferiasContraOGolpe

“Periferie, vicoli, case popolari, baracche… ti starai domandando cosa c’entri tu con tutto questo”

Noi, abitanti delle periferie, che non stavamo dormendo mentre il “gigante si svegliava” (ndt. il riferimento è alle grandi manifestazioni di piazza del 2013), siamo qui per recapitare ai fascisti un messaggio forte e chiaro: siamo contro a questo nuovo golpe che è in corso e che ci riguarda direttamente!

Noi, che non difendiamo questo governo del PT e che denunciandone continuamente le contraddizioni, un governo ci ha lasciato solo le briciole mentre stringeva alleanze con coloro che ci sfruttano. Noi, che ci rifiutiamo di camminare fianco a fianco con chi rappresenta la “Casa Grande” (ndt. così veniva chiamata dagli schiavi la casa dei signori bianchi)

Noi, donne e uomini delle periferie, da sempre in lotta. Noi, che siamo discendenti di Dandara e Zumbi, sopravvissuti al massacro dei nostri antenati neri e indigeni, figlie e figli del nord-est, delle mani che hanno costruito le grandi metropoli e hanno cresciuto i figli dei signori. (ndt. Lo schiavo guerriero Zumbi e Dandara, sua moglie, sono eroici personaggi storici, simboli della lotta degli afro brasiliani contro il razzismo e la discriminazione razziale. Si ribellarono ai padroni portoghesi ed olandesi e formarono a PALMARES la prima comunità (Quilombo) di schiavi liberi, indipendenti e resistenti)

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Noi, che siamo ai margini dei margini dei diritti sociali: istruzione, casa, cultura, salute.

Noi, che siamo parte di movimenti sociali nati prima dei partiti politici nella lotta per i diritti basilari: luce, acqua corrente, strade asfaltate e bambini iscritti a scuola.

Noi, che lottiamo per garantirci  un tetto e conquistarci un pezzo di terra, tra latifondisti e speculatori che negano il nostro diritto alla casa e distruggono l’ambiente e le risorse naturali, al fine di trarne profitto.

Noi, sballottati per tre, quattro ore al giorno, schiacciati in treni e corriere affollate, affrontando le grandi distanze che separano le nostre case dai centri economici, dai centri ricreativi, dai “centri del mondo”.

Noi, che resistiamo ogni giorno con l’arte dell’arrangiarsi – creatività e solidarietà. Noi che facciamo teatro sulle dighe, cinema nei garage e poesia alla fermata dell’autobus.

Noi, che ci ammaliamo e soffriamo nei pronto soccorso e ospedali senza barelle, senza medici e né farmaci.

Noi, che rafforziamo la nostra fede in giorni migliori con i nostri fratelli, nelle chiese, nei culti evangelici, nei “terreiros” (ndt. luoghi di culto di matrice africana ), con o senza Dio nel cuore, coerenti nella nostro cammino.

Noi, domestiche, ora con i documenti in regola. Noi, venditori ambulanti che lavoriamo dall’alba fino al tramonto per tirare a campare. Noi, operaie e operai, che continuiamo a ricevere i salari più bassi e sentiamo sulla pelle la crisi economica, la disoccupazione e l’inflazione.

Noi, che negli ultimi anni siamo entrati nelle università, mettendo il piede in mezzo alla porta, a testa alta, orgoglio nel petto e prospettive all’orizzonte.

Noi, che occupiamo le nostre scuole senza refezioni (ndt. il riferimento è al recente “scandalo delle mense scolastiche” di San Paolo che vede implicati politici di spicco), e senza strutture adeguate all’insegnamento e all’apprendimento. Noi, insegnanti che crediamo nella scuola pubblica e non rimaniamo in silenzio e parliamo di genere, di sessualità, di storia africana e indigena – anche se vorrebbero impedircelo.

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Noi, messi all’indice come il problema della società, gli arrestati e incarcerati a 18, 16, 12 anni, come vogliono i deputati del nostro Parlamento.

Noi, che continuiamo a veder violati  i nostri diritti da parte dello Stato, picchiati e umiliati dalle forze dell’ordine, condannati senza essere giudicati, imprigionati, dimenticati, se non addirittura uccisi – e ancora dicono: “un bandito di meno”.

Noi, donne nere, carne a buon mercato, che subiamo violenze domestiche, lavorative, ostetriche e giudiziarie, e piangiamo i nostri figli sterminati dagli agenti dello Stato.

Noi, gay, lesbiche, bisessuali, travestiti, uomini e donne transgender che affrontano la violenza e l’invisibilità, e non accettiamo di ritornare a nasconderci.

Noi che non accettiamo la nostra storia raccontata da media che non ci rappresentano e lottiamo per il diritto alla comunicazione.

Noi, che stiamo costruendo con le nostre voci, le nostre proprie narrazioni: poesia parlata, cantata, scritta.

Noi, sempre presenti nelle piazze, nelle reti, nei consigli comunali, sempre col fiato sul collo dei politici di turno e che adesso siamo etichettati come terroristi a causa delle nostre lotte. (ndt. il riferimento è alla recente legge anti-terrorismo voluta dalla presidenza della Repubblica)

Noi, che abbiamo addirittura imparato a scrivere le leggi per continuare a lottare per i nostri diritti.

Noi, che ci siamo conquistati coi denti quel minimo di ascolto da parte di chi occupa posizioni di potere, non accettiamo di fare neanche un passo indietro.

Noi, che siamo di varie periferie, manifestiamo contro il colpo di stato promosso dai politici conservatori, uomini d’affari, senza nessun interesse per le persone e contro i media manipolatori.

Nessun compromesso con chi scende in piazza con la maglietta gialla (ndt. della nazionale di calcio) con discorsi di odio, fascisti, sostenendo la giusta “lotta alla corruzione”, ma motivata da interessi privati.

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Nessun compromesso con chi  difende la violazione della legalità beneficiando così solo parte della popolazione, in cambio di un indebolimento dello Stato democratico di diritto per il quale noi dei movimenti sociali abbiamo combattuto ieri e continueremo a combattere oggi e domani.

Noi, che sappiamo che la vera democrazia sarà effettiva solo con l’allargamento dei diritti e delle conquiste del nostro popolo nero, povero e delle periferie, da sinistra e dal basso verso l’alto.

Noi, che abbiamo conquistato solo una parte di ciò che sogniamo e di cui abbiamo diritto, noi non ammettiamo nessuna retrocesso.

Rivendichiamo la sovranità delle urne e il mantenimento dello stato di diritto democratico.

Rivendichiamo le piazze come uno spazio di dialogo, di dibattito e di pratica politica, ma mai come territorio di odio.

Rivendichiamo la nostra libertà di espressione, sia essa ideologica, politica o religiosa.

Rivendichiamo la smilitarizzazione della polizia, della politica e della vita sociale.

Rivendichiamo il progresso delle politiche pubbliche, dei diritti civili e sociali.

 Non ci sarà il golpe. Non ci sarà lutto. Ci sarà lotta!


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