La lotta dei capotribù per salvare “l’albero della vita”

Testo e foto di Jemy Haryanto

Bisogna preservare i nobili valori della foresta tramandatoci dai nostri antenati. La foresta deve essere protetta, se necessario con il sangue” – Nadu, capotribù Dayak

Molti popoli dell’Indonesia vivono da secoli in un rapporto di simbiosi con l’albero tengkawang, che trova nel clima tropicale caldo-umido del Borneo e dell’Isola di Sumatra un perfetto ambiente di proliferazione. Dall’uso alimentare e terapeutico alla costruzione di edifici, la pianta è presente in molteplici aspetti della vita quotidiana degli abitanti dei villaggi, che utilizzano ogni suo elemento. Ma in pochi anni la deforestazione, il land grabbing e l’espansione delle piantagioni di palme da olio hanno diminuito drasticamente la presenza del tengkawang, simbolo dell’identità del Borneo stesso e della sua biodiversità. Nel Kalimantan sono milioni gli ettari di foresta abbattuti, bruciati, e trasformati in piantagioni di palme da olio o in miniere, senza curarsi dell’impatto che tutto ciò avrà in futuro.

LA SACRALITÀ DELLA BIODIVERSITÀ – Nella tribù Dayak, comunità locale del Kalimantan, il tengkawang è conosciuto come “albero della vita”. Il tronco è utilizzato come materiale da costruzione, inoltre praticandovi un’incisione si possono ricavare linfa e resina, molto utili come combustibili per le lampade, per accendere il fuoco quando si cucina o per produrre saponi.

I frutti hanno un elevatissimo contenuto di olio vegetale, che viene esportato e usato come base per molti prodotti: con l’olio di tengkawang vengono infatti prodotti alimentari, lubrificanti, medicinali, burro, candele, formaggi, cosmetici e molto altro. Persino alcuni studi recenti sull’impiego come combustibile per aerei hanno dato risultati incoraggianti. I semi estratti dai frutti sono invece utili come alimento per il bestiame.

Il villaggio di Kerumbi, realizzato in tengkawang
Il villaggio di Kerumbi, realizzato in tengkawang

I nativi hanno imparato dai propri antenati come utilizzare il tengkawang senza dover abbatterne il fusto, perché per alcune sub-etnie Dayak è un albero sacro. Nelle processioni tradizionali per chiedere benedizioni, spesso il frutto del tengkawang è un mezzo di approccio di natura trascendentale tra l’uomo e Dio.

Durante il rituale, solitamente i frutti di tengkawang vengono portati nella foresta e poi seminati. Un auspicio di fertilità, di protezione dai disastri, dai parassiti, dalle malattie e per far sì che Dio conceda un raccolto abbondante. Inoltre, la presenza di questi alberi è anche un segno di proprietà della terra su cui sorgono.

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Gli antenati dell’etnia Dayak credevano che le sostanze nell’olio di tengkawang potessero curare diverse malattie. Ciò è dovuto al fatto che quest’olio contiene diversi tipi di acidi grassi benefici per il corpo e la salute. Tra gli altri, il tengkawang è molto ricco infatti di acido palmitico o palmitoleico e di acido arachidonico.

Sebbene l’acido palmitico non sia comunemente utilizzato nel mondo farmaceutico, lo si può trovare in diversi testi di letteratura medica, dove è noto come integratore alimentare che può combattere l’obesità. L’acido arachidonico è invece conosciuto nel mondo dell’industria. È un acido usato come integratore per aumentare la massa muscolare, migliorare le funzioni cognitive, irrobustire il corpo.

 

LA LOTTA DELLE TRIBU’ – Il tengkawang fiorisce soltanto una volta in un periodo compreso tra i 3 ed i 4 anni. Quello dei popoli nativi non è quindi soltanto un bisogno economico e di risorse, ma un obbligo nei confronti di una pianta sull’orlo dell’estinzione di farla tornare ai fasti dei loro antenati.

Nell paese di Sahan vive Danianus Nadu, uno dei capo tribù più impegnati nelle campagne per preservare le foreste.

“È importantissimo preservare i nobili valori della foresta, come patrimonio tramandatoci dai nostri antenati, e la foresta di Pangajit deve essere protetta, se necessario con il sangue. In questa foresta ci sono moltissimi alberi di tengkawang, che sono noti per gli svariati benefici che apportano alla nostra comunità”, afferma Nadu, che periodicamente semina, insieme alla sua tribù, per contrastare quanto più possibile la deforestazione.

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Nei suoi 49 anni Nadu ha visto le rigogliose foreste attorno al suo villaggio trasformarsi deserti aridi, le colline della sua infanzia diventare brulle, i limpidi fiumi sono ora torbidi e contaminati. Per questo ha deciso di dedicare la sua esistenza alla lotta non armata, portando avanti anche campagne di informazione sull’importanza di salvare questi alberi in quanto risorsa fondamentale del Borneo e suo simbolo distintivo.

Danianus Nadu
Danianus Nadu in una foresta di tengkawang

 

 

Il capotribù Dayak è riuscito, in anni di lotta pacifica ma instancabile, a ottenere degli accordi con varie compagnie per non sradicare alcune aree di foresta. Ma non è stato semplice.

“Dovevo fare qualcosa. Mi sono inoltrato da solo nella foresta, camminando a piedi per decine di chilometri, per monitorare la situazione. Da valle a monte, di villaggio in villaggio”, ha dichiarato Nadu. “C’è qualcosa di profondamente sbagliato nella nostra società, le comunità rurali sono facilmente sedotte dal capitalismo. Per pochi soldi permettono alle aziende di abbattere alberi. Lo fanno perché non sanno quanto è importante il manto forestale”, affermato il capo tribù, mentre fuma una foglia arrotolata di simpur.

Nadu ha quindi raccolto a sé gli abitanti dei villaggi dell’area per proteggere i circa 200 ettari di foresta incontaminata. Ha parlato loro dell’importanza di preservare il tengkawang e con esso la loro cultura e identità, convincendoli a fare pressioni sul governo affinché fossero rifiutate le proposte di affari per le piantagioni di palme da olio nella foresta.

Non è stato facile per Nadu, ci è voluto molto tempo, ha lottato a lungo per cercare di proteggere la foresta. È stato spesso deriso e disprezzato dagli abitanti del villaggio. Altri lo hanno preso per pazzo. Come se non bastasse, la maggior parte della gente era convinta che Nadu facesse tutto ciò per ottenere il controllo di quella parte di foresta. Molte accuse sono state mosse nei suoi confronti. Non c’è da stupirsi che alle volte abbia dovuto scontrarsi con gli abitanti della zona. Si è spesso trovato in contrasto anche con funzionari corrotti delle forze dell’ordine. Tuttavia, Nadu non si è mai dato per vinto. Ha continuato a diffondere consapevolezza alla sua comunità.

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Col tempo, la lotta e la determinazione di Nadu ha prodotto dei risultati. La sensibilizzazione dell’opinione pubblica riguardo la protezione e conservazione del manto forestale è cresciuta e il governo ha infine accolto le sue richieste confermando che l’area in questione è foresta tradizionale. I diritti alla sua custodia e gestione sono stati lasciati interamente alla comunità.

Ma la lotta di Nadu non si è fermata qui. Dopo essere riuscito a risvegliare la consapevolezza del suo popolo, ha poi dovuto scontrarsi con i capitalisti delle piantagioni di palme da olio. Non pochi di loro sono venuti a fargli visita. Hanno poi cercato di persuaderlo a collaborare con loro. Naturalmente con denaro e beni materiali. Ma Nadu non si è lasciato corrompere da tutto ciò, riuscendo a condurre il suo popolo alla vittoria, rallentando l’attacco dei capitalisti alla sacra foresta.


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