Per un cinema diverso

Registi, scrittori e attivisti lanciano una petizione per promuovere la diversità nell’industria culturale italiana, proprio mentre è in discussione il disegno di legge “Disciplina del cinema, dell’audiovisivo e dello spettacolo” proposto dal Ministro Franceschini. Una legge che, secondo i promotori dell’appello, non rappresenta la complessità della società italiana

Il disegno di legge n. 2287 “Disciplina del cinema, dell’audiovisivo e dello spettacolo” proposto dal Ministro Dario Franceschini non promuove la diversità  nel cinema, in tv e nello spettacolo. Questo il principio da cui nasce #peruncinemadiverso, una petizione scritta da Leonardo De Franceschi, Giulia Grasselli, Nadia Kibout, Fred Kuwornu, Razi Mohebi, Reda Zine e Chiara Zanini. Uno spunto, il dibattito sul disegno di legge di Franceschini, per cercare di capire come potrebbe cambiare l’industria creativa italiana, e il cinema nello specifico, se dalla narrazione non venissero tagliate fuori minoranze e realtà eterogenee.

I firmatari della petizione affermano inoltre che nel disegno di legge sono contenute discriminazioni tra autori italiani e stranieri: nell’Articolo 5, ad esempio, discriminerebbe i registi che vivono da moltissimi anni in Italia ma che non hanno ancora ottenuto la cittadinanza, dal momento che quest’ultima è elemento necessario per definire le opere filmiche “italiane”. Del resto se ci si sposta oltre i confini nazionali la situazione è decisamente diversa: in Francia, ad esempio, è sufficiente la residenza.

[Nella foto in copertina, il giovane film-maker etiope Dagmawi Yimer]

Il testo della petizione:

Siamo cittadine e cittadini italiani, di paesi UE o extra-UE, oppure apolidi, che vivendo e lavorando in Italia contribuiscono alla ricchezza di questo paese. Non ci riconosciamo nella narrazione dominante che l’Italia dà di sé stessa, semplicemente perché per la maggior parte del tempo siamo assenti o semplici comparse. Siamo spettatori, e non solo quando andiamo al cinema. Lo siamo, spesso limitati nella capacità di agire, di fronte alla realtà. Alcuni di noi lavorano o vorrebbero lavorare nelle industrie creative, ma le logiche del mercato e le leggi in vigore impediscono o limitano il diritto a pari opportunità, nonostante l’articolo 3 della Costituzione Italiana certifichi come compito della Repubblica la rimozione degli «ostacoli di ordine economico e sociale» che «impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Il disegno di legge di iniziativa governativa n. 2287 “Disciplina del cinema, dell’audiovisivo e dello spettacolo” proposto dal Ministro Dario Franceschini e sollecitato da tempo dalle associazioni di cineasti è ora sottoposto al giudizio del Parlamento e sarà presto legge. Afferma di voler invertire il trend di una crisi strutturale che affligge da decenni il comparto culturale ed è quindi per noi occasione per richiamare l’attenzione su aspetti che nella sua bozza al momento ignora, formulando una nostra proposta. Alcuni di noi lavorano o vorrebbero lavorare nelle industrie creative, come autori, artisti, imprenditori, tecnici, giornalisti, addetti alla comunicazione. Ma le logiche del mercato e le leggi in vigore di fatto o di diritto impediscono o limitano il diritto a pari opportunità, nonostante l’articolo 3 della Costituzione Italiana certifichi come compito della Repubblica la rimozione degli «ostacoli di ordine economico e sociali» che «impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Una buona Legge di un Ministero dei Beni Culturali dovrebbe seguire questo principio di uguaglianza. Non c’è democrazia se non è per tutte e tutti.

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A sostenerci sono molti ai quali mercato e leggi assegnano una posizione di privilegio, peraltro assai relativo data la condizione perdurante di crisi e sottodimensionamento dell’intero comparto. Riteniamo che tutte le forze parlamentari debbano approfittare di tale passaggio legislativo per marcare una differenza rispetto al passato e avviare una controtendenza che possa incidere sulla discussione di questa e altre leggi. Negli ultimi anni in vari paesi e soprattutto negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Francia si sono moltiplicate le voci che chiedono di aumentare la presenza di soggetti espressione di diversità sullo schermo (on screen) e dietro le quinte (off screen). In più paesi ora leggi e protocolli vincolano il settore pubblico ad assumere Diversity Managers, monitorandone attività e risultati per le aziende. In Italia tale dibattito non ha mai preso piede a causa di un ritardo culturale e legislativo sul quale vogliamo intervenire.
Non tutti siamo nella stessa condizione: alcuni e alcune sono maggiormente tutelati. La recente legge sulle convivenze è stata un piccolo passo avanti nella lotta all’omofobia, ma non sono ad oggi sanzionate le violenze omofobiche e transfobiche, motivate da quello stesso sentimento di paura della diversità che minaccia quotidianamente i migranti. Per questo guardiamo con attenzione al disegno di legge sui diritti di cittadinanza, atteso da oltre un milione di ragazzi e ragazze di seconda generazione, consapevoli che solo definendo un’agenda politica di azioni positive volte al contrasto delle discriminazioni di matrice razzista, sessista, omofobica e ageista si potrà avviare una vera stagione di diritti e frenare le derive regressive in atto in più paesi. Troppi gruppi sociali non sono riconosciuti come soggetti di diritto, come portatori di talenti e competenze, come attori in grado di incidere nella narrazione di questo paese e in diritto di aspirare a opportunità lavorative significative, per se stessi e per la collettività anzitutto nelle industrie creative, le quali corrispondono ad un settore strategico di sviluppo dell’economia e allo stesso tempo vetrina qualificante dell’identità italiana all’estero. A troppi professionisti viene richiesto di lavorare gratuitamente, il che contribuisce ad allontanare da questo comparto persone provenienti da ambienti sfavoriti e gruppi marginalizzati. Solo una politica di equi compensi anche nel settore delle industrie creative può garantire la valorizzazione delle risorse umane in generale ma anche l’implementazione dei livelli di diversità raggiunti. Un’attenzione permanente dovrebbe essere assicurata alle associazioni e alle microrealtà produttive che promuovono culture della diversità nell’audiovisivo, nelle arti del vivo e nei media, attraverso la realizzazione di eventi sul territorio o la creazione di piattaforme di digital humanities.

Nella lettura del Ddl 2287 e degli emendamenti proposti dopo l’l’iter in Commissione, che pure ha audito professionisti portatori di legittime osservazioni, constatiamo la mancata consapevolezza di una delle ragioni del gap che separa le nostre imprese culturali da quelle di paesi nostri competitors sul mercato globale: la limitata attrattività delle nostre narrazioni sul mercato interno e internazionale è determinata infatti anche dalla mancanza di inclusività e pluralismo che tarpa le ali alle nostre industrie creative – dall’audiovisivo alle arti del vivo fino ai media. Non deve sorprendere che siano proprio Stati Uniti, Regno Unito, Francia e più in generale i paesi che hanno accolto il cambiamento a riscontrare successi di mercato.
Formuliamo perciò alcune richieste rispetto al Ddl. Includa anzitutto, come criterio dirimente delle sue misure, il principio della diversità – inteso come apertura alle istanze simboliche e coinvolgimento proattivo di ogni soggetto espressione di diversità in relazione a genere (donne), orientamento sessuale, età, origine, grado di abilità/disabilità, credo, provenienza sociale, status giuridico. Per attuare concretamente tale principio suggeriamo di includere i seguenti emendamenti:

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1. PLURALISMO E INCLUSIONE

Il titolo II (Cinema e audiovisivo), al capo I (Disposizioni generali) si apre con l’Art. 3 (Principi), e recita: “1. L’intervento pubblico a sostegno del cinema e dell’audiovisivo: a) garantisce il pluralismo dell’offerta cinematografica e televisiva”. Prosegue con l’enunciare altri sei principi generali, fino alle lettera g). Proponiamo di integrare questo primo articolo affermando: “garantisce il pluralismo dell’offerta cinematografica e televisiva e precise politiche della diversità miranti ad ampliare e a rendere più inclusiva e plurale la platea di attori e pubblici”.

2. SOGGIORNO DI LUNGO PERIODO COME NAZIONALITA’

L’articolo 5, che riguarda la Nazionalità italiana delle opere stabilisce che “La nazionalità italiana delle opere cinematografiche e delle opere audiovisive è attribuita prendendo in considerazione i seguenti parametri: a) nazionalità italiana o di un altro Paese dell’Unione europea del regista, dell’autore del soggetto, dello sceneggiatore, della maggioranza degli interpreti principali, degli interpreti secondari, dell’autore della fotografia” ecc. Proponiamo piuttosto, come primo parametro, “nazionalità italiana o di un altro Paese dell’Unione europea oppure soggiorno di lungo periodo in Italia o in un altro Paese dell’Unione europea”, ecc. L’accesso alla professione sarà così possibile anche per le persone lungo soggiornanti.
La medesima logica ci porta a correggere l’art. 13 (Requisiti di ammissione e casi di esclusione), al comma 1. Laddove il testo attuale stabilisce che “l’ammissione ai benefici previsti dalla presente legge è subordinata al riconoscimento della nazionalità italiana” suggeriamo di emendare secondo la presente formulazione: “l’ammissione ai benefici previsti dalla presente legge è subordinata al riconoscimento della nazionalità italiana, fermo restando che ai fini di detto riconoscimento viene valutata in senso positivo la presenza nel cast tecnico e/o artistico di persone lungo soggiornanti”.

3. NOMINE DEL CONSIGLIO SUPERIORE DEL CINEMA E DELL’AUDIOVISIVO

L’articolo 10 introduce un nuovo organismo, il Consiglio superiore “Cinema e audiovisivo” con funzioni di “consulenza e supporto nella elaborazione ed attuazione delle politiche di settore” (art. 2). All’art. 4 leggiamo che il Consiglio “è composto da dieci membri […], nel rispetto del principio di equilibrio di genere”. Proponiamo di andare oltre chiedendo che, fatta salva la parità di genere, almeno un terzo dei membri sia espressione delle diverse identità.

Siamo consapevoli che le misure da noi finora proposte non sarebbero affatto sufficienti. Un’altra leva fondamentale per la promozione dell’inclusività è rappresentata dalle scuole di cinema e teatro pubbliche o fondate da privati che ricevono finanziamenti pubblici, come ad esempio il Centro Sperimentale di Cinematografia, l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico e la Scuola d’Arte Cinematografica Gian Maria Volonté. A nostro avviso il Governo dovrebbe potenziare i luoghi di alta formazione, imponendo che nella selezione di allievi e docenti siano introdotti criteri premiali e che, appurato il merito, le competenze e il talento dei candidati possano consentire l’apertura a una nuova generazione di maestranze dell’audiovisivo e dello spettacolo espressione dell’identità plurale del nostro Paese. Auspichiamo che queste Scuole come le stesse sale cinematografiche possano essere luogo di educazione all’immagine e di incontro di tutte le identità: siano quindi calmierati i costi per accedervi, affinché l’esperienza della settima arte non diventi elitaria in nessuna fase della filiera. Medesime esigenze, fatte salve le competenze necessarie, si pongono per la gestione di altre istituzioni pubbliche d’eccellenza della cultura italiana come La Biennale di Venezia.

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Anche il servizio pubblico radiotelevisivo necessità di segnali di discontinuità forte. La ricerca “Europa Media Diversità” realizzata dall’Associazione Carta di Roma evidenzia il grave ritardo accumulato dalla Rai rispetto a emittenti radiotelevisive pubbliche e private europee e nordamericane, forti di politiche interne pianificate per promuovere la diversità tanto sul fronte della programmazione, quanto su quello delle risorse umane. Il sistema radiotelevisivo italiano stenta a uscire da un idealtipo di spettatore/consumatore giovane, maschile, normodotato, abbiente, eterosessuale, cattolico, tendenzialmente conservatore. Solo dal 2013 è incluso un certo numero di stranieri residenti nel campione di rilevazione dell’Auditel. Format di qualche interesse come le fiction “È arrivata la felicità” e “Tutto può succedere” non fanno parte di una coerente strategia aziendale. La sua riforma dovrebbe recepire il principio della diversità come valore culturale strategico da difendere e come possibile volano di rilancio. Di conseguenza chiediamo che anche la nomina dei dirigenti sia espressione di pluralismo.
Abbiamo usato più volte il termine diversità. Siamo consapevoli dei rischi che possono annidarsi in un’etichetta passepartout come questa, primo dei quali è quello di riaffermare il carattere normativo dell’idealtipo dominante. Allo stesso tempo siamo convinti che l’avvio di una stagione di affirmative action, conscia delle buone pratiche adottate altrove quanto delle caratteristiche specifiche della situazione italiana, rappresenti un atout essenziale per garantire una crescita complessiva e più equa dell’intero settore delle industrie creative e possa contribuire a produrre una narrazione più complessa ed efficace del nostro paese. Più inclusiva. Più rispondente alle articolazioni della società italiana. Più attraente per il pubblico interno e per quello internazionale.


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