Parlare di “cultura rom e sinta” non ha senso

intervista di Elena Cesari*

L’attivista e ricercatrice Eva Rizzin, nata a Udine nel 1977, è un’intellettuale sinta. Si è laureata in Scienze Politiche all’Università di Trieste. Nel 2007, dopo aver svolto un’esperienza di ricerca di alcuni mesi al Parlamento Europeo, ha conseguito presso lo stesso ateneo un dottorato di ricerca in Geopolitica sul fenomeno dell’Antiziganismo nell’Europa allargata.

È cofondatrice di OsservAzione, centro di ricerca contro la discriminazione di rom e sinti. Nel 2008 ha partecipato come delegata ad una missione dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) per indagare sulla violazione dei diritti umani dei rom e dei sinti in Italia. Nel 2009 ha condotto una ricerca europea per l’ERRC (European Roma Rights Center) di Budapest, riguardante la libertà di circolazione e soggiorno dei rom all’interno dell’Unione Europea, ricerca commissionata dalla FRA (Agenzia Europea sui Diritti Fondamentali dell’Ue).


Come ti piace definirti (se ti definisci in qualche modo)? Che cos’è per te l’identità?

Ho sempre vissuto la mia appartenenza identitaria come motivo di orgoglio. Sono frutto di un matrimonio misto: mia madre appartiene alla comunità Sinta, mio padre è quello che viene definito all’interno della nostra comunità come un “gagio”ossia come un non rom e un non sinto.

Fin da piccola mia madre mi ha insegnato ad essere orgogliosa della mia appartenenza e delle mie origini e a credere nel valore dell’istruzione come strumento di riscatto sociale. Non a caso ho scelto di dedicare i miei studi e la mia vita professionale alla mia comunità. In questo senso certo mi piace definirmi come sinta, non solo come quello, ma anche come sinta e sono orgogliosa della mia identità.

Gli elementi positivi della mia cultura e che traggo dalla mia esperienza sono la coesione e la solidarietà familiare che spesso sono stati minati proprio dalle politiche discriminatorie delle istituzioni; detto questo, ci tengo a dire che non esiste una sola “identità sinta”, né una “cultura rom”. La cultura è fatta da individui con storie e percorsi di vita molto diversi. Parlare di “cultura rom e sinta” non ha senso perché quando parliamo rom e sinti parliamo di un universo vastissimo, una galassia infinita di minoranze. Ogni persona sinta e rom è un mondo a sé.

Ci sono rom che sono in Italia dal 1400 e rom appena arrivati dalla Romania. Cos’hanno in comune i rom rumeni con i sinti di Bolzano? Forse solo alcune questioni legate alla lingua, però bisogna stare attenti a non generalizzare. Solitamente purtroppo molte delle politiche attuate in Italia partono dall’assunto che esiste un’unica cultura spesso connessa a stereotipi: un esempio eclatante è quello del nomadismo a cui sarebbero dediti tutti i rom e i sinti!

Come sono stati gli anni della tua infanzia e adolescenza? Che aria respiravano i Sinti in Friuli? 

Io sono nata a Udine nel 1977 ma in realtà sono cresciuta a Tarvisio, che è un piccolo paese di montagna in Friuli che confina con l’Austria e la Slovenia ed è a 90 Km da Udine. Lì sono vissuta sino all’età di 18 anni, lì ho frequentato le scuole elementari e medie. Nel weekend andavamo però a trovare la famiglia di mia mamma a Udine. Tutti i miei compagni di scuola lo sapevano perché i miei parenti erano tutti giostrai e circensi. Poi a Tarvisio abitava mio zio Claudio che era molto famoso in Val Canale, dove aveva un negozio di abbigliamento, vendeva vestiti di alta moda e in quel periodo negli anni 70 fra i suoi clienti c’era Arnold Schwarznegger.

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Mio zio era molto orgoglioso della sua identità, si pavoneggiava; di conseguenza anch’io non ero inibita nel dichiarare la mia, anzi ero molto avvantaggiata da questo. I problemi sono iniziati in periodo adolescenziale in cui ho vissuto un po’ di smarrimento, non sapevo cosa considerarmi, non sapevo cosa fossi: sinta, gagi o entrambe le cose. Durante la settimana facevo la vita da gagi in casa, a scuola; il weekend invece andavo dai miei parenti sinti a Udine e vivevo nelle roulottes. Ho dovuto lavorare un po’ per comprendere che in me potevano coesistere pacificamente queste due identità. Non ti nascondo che durante l’adolescenza ho avuto anche un momento di rifiuto della mia identità sinta. Per una persona sinta e rom non è facile affermare la sua appartenenza.

La necessità di rimanere invisibili va di pari passo con il razzismo e l’intolleranza che esiste nella nostra società. Purtroppo oggi dichiararsi sinto o rom significa essere equiparato ad un ladro e ad un criminale, fatto che spinge moltissimi sinti e rom a nascondere la propria identità. Dichiararsi sinto o rom non è facile, non conviene perché se cerchi lavoro o se cerchi una casa non lo trovi o vieni sbattuto fuori. Però mia madre è stata sempre vigile affinché l’identità mia e dei miei fratelli non diventasse mai un motivo di vergogna.  Ovviamente il dichiarare la propria identità si complica enormemente per le persone che vivono in condizione di emarginazione sociale che sono altamente invisibili.

Cos’è l’antiziganismo? 

Secondo la recente ricerca Spring Global Attitude Survey realizzata dal Pew Reasearch Center, l’Italia risulta essere il paese europeo più colpito dall’antiziganismo. L’85% degli italiani è contrario ai rom. Paradossalmente l’Italia è anche il paese europeo con la più bassa percentuale di rom e sinti all’interno dei propri confini, solo lo 0,25 percento della popolazione italiana, e allo stesso tempo uno dei paesi più ossessionati e spaventati.

L’antiziganismo è un fenomeno estremamente radicato nella storia, oggi molto spesso alimentato dai mass media e non di rado dai partiti politici e dai rappresentanti istituzionali che usano xenofobia e razzismo per accrescere il loro consenso elettorale.

L’antiziganismo è inoltre un fenomeno largamente inosservato, considerato “normale” e altamente accettato. Da un lato si manifesta attraverso le immagini stereotipate e negative delle comunità rom e sinte e dall’altro con il diniego dell’esistenza di secoli di discriminazione.

Purtroppo cavalcare l’onda d’odio verso rom e sinti conviene a molti politici che in questo modo ottengono maggiore consenso elettorale.

Quali sono i tuoi impegni attuali di ricerca all’Università di Verona?

Attualmente io svolgo la mia attività di ricerca al dipartimento di Scienze Umane dell’Università di Verona e precisamente al CREA, Centro di Ricerche Etnografiche e di Antropologia applicata “ Francesca Cappelletto”. Dal 2015 sto conducendo, con la supervisione di Leonardo Piasere, una ricerca finanziata dalla Commissione Europea e riguarda la condizione delle persone rom rumene in Europa occidentale.

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Lo scopo del Progetto denominato MigRom è quello di intraprendere una ricerca sul movimento delle persone rom dalla Romania verso Francia, Italia, Spagna e Regno Unito. Durante la ricerca si indagherà sulle esperienze, motivazioni e desideri delle persone migranti rom e le reazioni della popolazione, dei media e delle autorità a questa migrazione. Nello specifico io mi occupo delle studio delle politiche delle istituzioni locali verso le persone rom rumene e dell’analisi dei media. In particolare mi sto ora occupando della rappresentazione mediatica delle persone rom rumene a mezzo stampa degli ultimi 25 anni in Italia.

I miei studi su rom e sinti sono iniziati un po’ di anni fa…Mi sono laureata in Scienze politiche all’Università di Trieste con una tesi in geografia politica interamente dedicata alla mia comunità: i Sinti Gackane Eftawagaria, sinti di origine tedesca. Allora non conoscevo nessun attivista rom e sinto. Nel 2005 poi sono approdata al Parlamento Europeo per conseguire il  dottorato di ricerca sul fenomeno dell’antiziganismo nell’Europa allargata. Le mie ricerche vertevano sugli strumenti legislativi messi a disposizione dall’Unione Europea per tutelare le minoranze rom e sinte.

Quali sono stati i tuoi primi contatti con l’associazionismo rom e sinto?

I primi contatti con l’associazionismo rom li ho avuti a livello europeo non Italia. Quando sono arrivata a Bruxelles era appena avvenuto l’allargamento dell’Unione con l’ingresso di numerosi paesi fra questi anche l’Ungheria. L’allargamento aveva spinto i legislatori europei ad investire maggiore attenzione alla questione della tutela dei diritti delle minoranze sinte e rom.

Per la prima volta nella storia erano state elette nel parlamento europeo due deputate di origine rom, due donne, entrambe ungheresi: Livia Jaroka e  Viktória Mohácsi. Per me è stato un evento storico! Le prime romnì a sedere al Parlamento europeo! Un miraggio per il nostro paese. Durante il mio stage ho avuto la possibilità di affiancare Livia Jaroka che si occupava proprio di difesa dei diritti civili.

Quest’esperienza mi ha arricchito tantissimo perché mi ha dato la possibilità di conoscere l’attivismo rom a livello europeo e mi sono resa conto in quel preciso istante di quanta strada c’era ancora da fare invece in Italia. In Italia infatti abbiamo dovuto attendere il 2005 per l’elezione, per la prima volta nella storia italiana, di un consigliere comunale sinto: Yuri del Bar di Mantova.

Ci sono poi stati tanti altri tentativi di candidature politiche di persone sinte e rom, ma sono tutte tramontate a causa della propaganda razzista. Il mio attivismo in Italia è iniziato nel 2005, anno in cui ho fondato insieme ad altri attivisti ricordo in particolare  il caro amico e maestro Piero Colacicchi, il centro di ricerca-azione Osservazione contro la discriminazione di rom e sinti. Osservazione si occupa di denunciare la violazione dei diritti umani di rom e sinti in Italia.

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Nel 2005 ancora non esisteva un’organizzazione nazionale rappresentativa di sinti e rom: la partecipazione in Italia è un fatto nuovo perché è nata nel 2007, anno in cui si è formato il comitato che  avrebbe poi dato origine nel maggio del 2008 alla Federazione Rom e Sinti Insieme.

Tutti gli organismi europei ritengono che la partecipazione diretta di rom e sinti alla vita culturale, civile e politica di uno stato sia un requisito fondamentale per garantire loro i diritti di cittadinanza. In Italia manca proprio questo requisito base! Molti progetti assistenziali verso rom e sinti sono falliti nel corso degli anni, tuttavia si continua ad ignorare che la causa di questo fallimento sta proprio nella mancata partecipazione soprattutto dei giovani rom e sinti.

L’assistenzialismo è stato la rovina dell’Italia, bloccando l’iniziativa culturale e politica delle persone rom e sinte, considerate incapaci di poter interloquire e di essere partecipi del proprio destino. In Europa c’erano deputati e un attivismo politico molto diverso!


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Che ruolo hanno le donne nel mondo dell’associazionismo sinto e più in generale all’interno della comunità rom e sinta? 

Il mio primo contatto con l’attivismo sinto io l’ho avuto con due donne. Anche in Italia in questo momento un ruolo di primo piano è rivestito da una donna, Diana Pavlovic, romnì. Diana è di Milano, è attrice teatrale ed è una grande attivista. A Torino c’è poi Laura Halilovic, regista rom, pluripremiata per il suo documentario “Io, la mia famiglia rom e Woody Allen”, Saška Jovanović Fetahi, una romnì serba, con diploma di ingegnere e imprenditrice, presidente dell’Associazione Romni.

Poi mi viene in mente una mia carissima collega anche lei parte del progetto MigRom che si è appena laureata col massimo dei voti a Venezia. Poi, naturalmente, ci sono tantissime storie di donne rom invisibili. Su questo è illuminante il  libro di Pino Petruzzelli “Non chiamarmi zingaro”, nel quale viene raccontata la storia di una neurologa rom che nasconde, a causa del pregiudizio, la sua appartenenza persino alla propria famiglia.


*L’articolo completo può essere letto su La macchina sognante, una rivista di scritture dal mondo. Ogni settimana Frontiere News pubblica un articolo selezionato dalla redazione de La macchina sognante.


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