Le migrazioni qualificate ai tempi dei tagli alla ricerca

Aumenta il numero dei laureati che emigrano all’estero così come quello dei laureati stranieri in Italia. Eppure gli sbocchi lavorativi continuano a latitare e l’Italia è decisamente sotto la media europea per quanto riguarda investimenti in istruzione, ricerca e sviluppo.

Nel 2015, secondo l’Istat, sono rimpatriati 30.052 italiani, mentre 102.259 connazionali hanno spostato la propria residenza in paesi esteri. Questo andamento ci riporta 40 anni indietro. Nel 1974 gli espatri, che nel periodo del Dopoguerra arrivarono a superare annualmente le 200mila e anche le 300mila unità (con il picco di 387mila nel 1961), scesero a poco più di 100mila. Successivamente questo livello è stato superato solo due volte: nel 2004 e, per l’appunto, nel 2015, quando la metà degli espatriati risulta costituita da laureati e diplomati, evidenziando l’emergere di consistenti migrazioni qualificate in uscita in uno scenario finora caratterizzato dall’aumento dell’immigrazione estera.

Parte da questo dato il volume dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, appena pubblicato presso le Edizioni Idos, che cerca di richiamare l’attenzione sui fattori strutturali che condizionano le prospettive future (istruzione, ricerca e sviluppo), tenendo conto dei flussi sia in uscita che in entrata, di cui sono sempre più protagonisti giovani e adulti con un livello di istruzione superiore, a volte veri e propri talenti.

I giovani lasciano l’Italia non solo per l’insoddisfacente andamento occupazionale ma anche perché sono cresciuti in un mondo globalizzato e sono interessati a valorizzare le proprie capacità là dove vi sono maggiori opportunità. Questa nuova ricerca si pone l’interrogativo se, a lungo andare, le partenze di giovani qualificati rappresentino un depauperamento del paese o se vi possa-no esserci anche aspetti compensativi, tra cui l’immigrazione dall’estero (280mila registrazioni in entrata nel 2015).

Quali possono essere le linee di intervento strutturali in grado di favorire un bilanciamento tra entrate e uscite, al di là degli incentivi finora attuati per favorire i ritorni?

PANORAMA MONDIALE

Nel corso degli ultimi decenni sono aumentate le migrazioni internazionali (da 173 milioni nel 2000 a circa 240 milioni nel 2015) e, al loro interno, la quota dei titolari di una formazione superiore (e in particolare terziaria) ha conosciuto un ritmo d’aumento più accentuato rispetto agli altri migranti. Il tasso di emigrazione degli altamente qualificati è più elevato nei paesi a basso reddito (l’Africa si colloca al primo posto), mentre tra le aree di desti-nazione quelle che esercitano una maggiore attrazione di lavoratori altamente qualificati sono il Nord America e l’Europa, con la preminenza degli Stati Uniti e del Regno Unito. Tuttavia, risulta elevata anche la quota di laureati che parte dai paesi più sviluppati (Italia compresa).

È notevolmente aumentato anche il numero degli studenti che frequentano università al di fuori del proprio paese: dagli 0,8 milio-ni nel 1975 si è passati ai 5 milioni nel 2014 (secondo la stima Ocse). Di essi più della metà proviene dall’Asia (con la Cina e l’In-dia ai primi posti), e oltre la metà si reca in Australia, Canada, Fran-cia, Germania, Giappone, Stati Uniti e Regno Unito.

Gli Stati membri dell’Ue che contano un numero maggiore di studenti stranieri sono (Eurostat 2013): Regno Unito (416.693, di cui il 64,7% da paesi extraeuropei), Francia (228.639), Germania (196.619), Italia (82.589), Austria (70.852), Paesi Bassi (68.943), Spagna (56.315), Belgio (48.748), Svizzera (47.142) e Repubbli-ca Ceca (40.138). L’incidenza percentuale più elevata di questi studenti sul totale degli iscritti nei paesi di accoglienza si riscontra nel Regno Unito (17,5%), ma a questo valore (quattro volte superiore a quello italiano) si avvicinano anche l’Austria e la Sviz-zera con il 16,8%.

Anche l’Italia sta conoscendo una crescente internazionalizza-zione. I giovani spostatisi temporaneamente con il programma Erasmus nell’anno accademico 2014/2015 sono 30.875 (24.475 per studio e 6.400 per tirocinio): primo paese di destinazione è la Spagna e prime regioni di partenza sono la Lombardia e il Lazio. Gli studenti italiani si trasferiscono anche per frequentare all’estero il normale corso di laurea (82.450 nel 2013, inclusi però anche i figli degli immigrati residenti in loco) e il primo paese per iscrizioni è il Regno Unito.

Nell’anno accademico 2014/2015 gli stranieri iscritti alle uni-versità italiane sono 70.339 (il 4,3% di 1.652.592 iscritti complessi-vi), oltre a 10.290 iscritti all’Alta Formazione Artistica e Musicale (su 86.872 totali) e a 11.101 (dato dell’anno a.a. 2013/2014) alla for-mazione post-laurea (su 137.939). Gli iscritti ai dottorati di ricerca sono 4.262 (12,7% di 33.567 iscritti complessivi), quelli ai master di I livello 2.824 (11,5% di 24.657), quelli ai master di II livello 1.749 (11,5% su un totale di 15.258), oltre ai 1.561 iscritti a corsi di perfezionamento e 706 presso scuole di specializzazione. In Italia si tratta in totale di 91.730 cittadini stranieri, che superano la soglia dei 100mila se si tiene conto anche dei 22.152 studenti venuti in Italia nell’ambito del programma Erasmus e degli studenti presso le facoltà pontificie a Roma. Quindi la presenza presso le università italiane resta così caratterizzata: 1 studente straniero ogni 23 iscritti (15 anni prima erano solo 1 ogni 60) e 1 ogni 28 laureati (15 anni prima, 1 ogni 100). Bisogna incrementare questa apertura tenendo conto che gli studenti universitari stranieri costituiscono un valido collegamento con le aree di origine, culturalmente e anche commercialmente.

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I LAUREATI EMIGRATI DALL’ITALIA

L’Italia, tra il 1996 e il 2000, a seguito dell’emigrazione, ha perso più di 27mila laureati, in media 3.200 all’anno nel quinquen-nio, pur con variazioni di intensità da un anno all’altro, raggiungendo la quota massima di 4mila unità nel 1999. Nel corso di questo secolo gli espatri hanno conosciuto un andamento discontinuo, con una impennata nel 2004 (102.813) e poi una diminuzione fino a poco più di 50mila nel 2010 e 2011, per poi superare nuovamente le 80mila unità nel 2013 e nel 2014 e le 100mila unità nel 2015 (102.219). La situazione italiana ali-menta la propensione di 6 giovani su 10 ad emigrare (Rapporto Nazionale Giovani 2016).

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Al 31 dicembre 2014 risultano registrati nell’Archivio Aire 4.811.163 cittadini italiani residenti all’estero. In Italia, l’incidenza dei titolari di istruzione superiore tra gli emigranti, che nel 2002 era del 17,5%, è andata aumentando, fino a incidere negli ultimi anni per circa la metà sui cancellati per l’estero. I diplomati annual-mente in partenza, poco più di 10mila nel 2000, hanno superato le 27mila unità nel 2015 (stima), mentre i laureati, all’inizio del periodo meno di 4mila, sono arrivati a sfiorare le 24mila unità. In 14 anni (2002-2015) si può calcolare che abbiano lasciato l’Italia 202mila diplomati e 145mila laureati, non compensati dagli italiani che hanno preso la via del ritorno. Bisogna aggiungere che, come risulta dagli archivi dei paesi di destinazione, gli espatriati sono stati più numerosi rispetto a coloro che si sono registrati presso l’Ana-grafe degli Italiani Residenti all’Estero, in qualche anno anche il doppio (specialmente in Germania e nel Regno Unito, come risulta dagli archivi locali). Tuttavia, come si vedrà, l’aumento dei diplomati e dei laureati intervenuto presso la popolazione straniera residente in Italia ha abbondantemente coperto queste perdite.

Nel 2005, secondo l’Ocse, i laureati italiani residenti all’estero sono risultati 294.767, con le maggiori presenze, a livello europeo, in Francia, Regno Unito e Svizzera e, oltreoceano, negli Usa e in Australia. Se a questo numero si aggiungono gli oltre 127mila lau-reati italiani recatisi all’estero a partire da tale anno, la presenza nel 2015, tenuto conto della scarsa incidenza dei rimpatri, dovrebbe aggirarsi sulle 400mila unità (incidenza di poco superiore all’8% sull’intera popolazione italiana residente all’estero).

In diversi paesi si riscontra un fiorire di associazioni, banche dati, siti e convegni degli expats, le cui forme di aggregazione presentano caratteristiche molto differenti da quelle tradizionali. Negli Stati Uniti il gruppo italiano è tra i più numerosi tra gli scienziati europei e, secondo una ricerca del Cnr, sarebbero ben 25mila i professionisti italiani che occupano posizioni di alto livello negli Stati Uniti (3.500 di loro in ambito accademico).

I LAUREATI STRANIERI IN ITALIA

Per valutare l’impatto delle alte qualifiche sulla presenza straniera in Italia, si può partire dai dati del Censimento del 2001, che evidenziano questa situazione in riferimento alla popolazione (italiana e straniera) con almeno 6 anni:

– italiani residenti: 53.854.962, laureati 4.042.259 (7,5%), diplo-mati 13.923.366 (25,9%);

– stranieri residenti: 1.211.855, laureati 146.945 (12,1%), diplo-mati 336.611 (27,7%).

Pertanto, in quell’anno, tra gli stranieri residenti era più elevata, rispetto agli italiani, la percentuale dei diplomati e dei laureati.

A distanza di un decennio, il Censimento del 2011 evidenzia notevoli cambiamenti.

La popolazione italiana al 2011 risulta aumentata a 56.128.173 residenti (+2.273.211 unità, pari a +4,2%). I laureati sono 6.276.958 (11,2%), aumentati di 2.234.699 unità (+55,3%) e i diplomati sono 16.950.936 (30,2%), aumentati di 3.027.570 unità (+21,7%).

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La popolazione straniera risulta triplicata per un totale di 3.631.061 unità (+2.419.206 in valori assoluti e +199,6% in valori percentuali). I laureati sono 390.108 (incidenza del 10,7%), aumentati di 243.163 unità (+165,3%), e i diplomati sono 1.177.856 (incidenza del 32,4%), aumentati di 840.945 unità (149,8%): l’aumento include anche il conteggio dei figli di immi-grati che conservano la cittadinanza straniera e hanno conseguito il diploma o la laurea in Italia.

Nel 2014, secondo la Rilevazione Continua dell’Istat sulle Forze Lavoro, la popolazione straniera residente con 15 anni e più conta il 39,7% di diplomati e il 10,3% di laureati (poco meno di mezzo milione, senza includere i laureati stranieri diven-tati nel frattempo cittadini italiani e i soggiornanti stranieri non ancora registrati come residenti), per cui si può dire che questa presenza compensa il flusso dei laureati italiani intervenuto verso l’estero (se non fosse che resta scarsamente valorizzata).

CARENZE E POTENZIALITÀ DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE NAZIONALE

Da diverse indagini risulta che i titolari di una laurea trovano più facilmente occupazione. La Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro dell’Istat evidenzia che, nel 2014, tra gli occupati la quota di persone con titolo universitario è in media del 20,4% (8,8 punti percentuali più alta rispetto al campione più ampio che include gli occupati, i disoccupati e gli inattivi). Questa possibilità riguarda specialmente gli italiani (21,3%) e di meno gli stranieri (11,8%), notoriamente convogliati verso occupazioni meno prestigiose.

Nonostante la funzionalità del titolo, in Italia la quota di laureati è comparativamente più bassa che in altri paesi dove, d’altra parte, questi risultano maggiormente valorizzati.

In Italia la spesa per l’istruzione incide solo per il 4,1% del Pil, contro la media Ue del 4,9%. La spesa è quasi in linea con la media europea nell’educazione primaria, più bassa in quella secondaria e molto al di sotto nell’educazione terziaria (univer-sitaria e post-universitaria), cui è destinato lo 0,3% rispetto allo 0,8% della media Ue e allo 0,9% della Germania. È stato anche riscontrato che il sostegno agli studenti che ne avrebbero dirit-to viene meno per mancanza di fondi.

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Vi sono anche altri aspetti di questo divario. In un paese come l’Italia, in cui l’utilizzo della banda larga è ancora limitato, gli insegnanti non utilizzano spesso le nuove tecnologie nel loro lavoro.

In particolare, il livello italiano di istruzione terziaria nella fascia di età tra i 30 e i 34 anni è tra i più bassi, nonostante un parziale miglioramento intervenuto da ultimo: incidenza dei laureati del 21,9% nel 2012, del 22,5% nel 2013 e del 23,9% nel 2014 (ma solo del 19,7% del Mezzogiorno) rispetto a una media Ue del 37,9%. Allo svantaggio italiano di 8 punti per quanto riguarda l’incidenza delle lauree triennali (media Ocse 36%), fa da contrappeso la maggior incidenza delle lauree magistrali (20% vs 17% della media Ocse).

L’uscita precoce dai percorsi di istruzione e formazione, che nella Ue28 incide per l’11,2%, in Italia è del 15,0% e sale al 19,3% tra i 18-24enni del Mezzogiorno (contro il 12% nel Centro-Nord).

Il corpo docente della scuola italiana si distingue, nel conte-sto dell’Unione europea, per un maggiore invecchiamento (età media di 52 anni): i docenti con meno di 40 anni sono solo il 16% (dato del 2013).

È positivo in Italia anche il superamento del divario fra maschi e femmine per quanto riguarda il conseguimento di una laurea (tra i nuovi laureati le donne sono il 59%) e i titolari di un primo dottorato (52% in Italia contro una media Ocse del 47% per il primo dottorato). Inoltre, le donne che conseguono una laurea nelle discipline scientifiche sono più numerose rispetto agli altri paesi Ocse.

INSUFFICIENZA DEL SISTEMA DI RICERCA E SVILUPPO

L’Italia dispone di un capitale umano in larga misura non valorizzato. Ai tre milioni di disoccupati (per la metà giovani tra i 15 e i 34 anni), si aggiungono quasi 1,8 milioni di inattivi perché scoraggiati e 3 milioni di persone che, pur non cercando attiva-mente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare, per un totale di capitale umano non utilizzato di quasi 8 milioni di individui. I Neet/Not in Education, Employment or Training, cioè i giovani tra i 15 e 29 anni che non sono impegnati in percorsi di istruzione o formazione, non hanno un impiego né lo cercano,

Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono solo l’1,29% del Pil (nell’Ue il valore è del 2,03%). Sussiste un particolare divario per quanto riguarda le imprese private (0,72% del Pil in Italia rispetto alla media Ue dell’1,3%), mentre nel settore pubblico l’investi-mento è pari allo 0,53% del Pil in Italia e allo 0,72% nell’Ue. Si è ben lontani dall’obiettivo ottimale posto dalla Unione europea del 3%. Va anche tenuto conto che il 24,2% della spesa italiana in R&S proviene da imprese estere.

Secondo l’Istat (2013), i ricercatori italiani impegnati in atti-vità di Ricerca e Sviluppo (4 ogni 1.000 abitanti) sono 246.764, il 2,7% in più rispetto al 2012.

Anche quanto agli investimenti in cultura la situazione dell’Ita-lia è negativa, risultando il paese al penultimo posto (1,4% della spesa pubblica) a fronte del 2,1% della media europea.

Un altro dato non soddisfacente è il fatto che solo 1 manager su 4 abbia una laurea, contro il 54% della media europea e il 68% della Francia: una condizione che non favorisce l’innovazione.

In ogni caso, dopo l’andamento meno dinamico degli anni precedenti, nel 2015 si è verificato un aumento di circa il 9% delle domande di brevetti (da 3.649 a 3.900) con la Regione Lombardia e Milano al vertice della graduatoria territoriale. Per numero di brevetti l’Italia è al sesto posto in Europa, dopo Ger-mania, Francia, Svizzera, Regno Unito e Paesi Bassi. A livello mon-diale dal World Intellectual Property Indicators (2015) risulta che il 24,7% dei brevetti è degli Usa, il 18,8% del Giappone e l’11,7% della Cina. L’Italia, con oltre 63.000 brevetti, si colloca tra le prime venti nazioni.

OGNI MIGRANTE RAPPRESENTA UN INVESTIMENTO

Quando a stabilirsi all’estero è un cittadino che ha fruito del sistema scolastico nazionale (e ciò solitamente in Italia avviene già a partire dalla scuola dell’infanzia), si sposta una persona che è stata destinataria di notevoli investimenti pubblici. Secondo l’Oc-se, che ha calcolato i costi per singolo paese (Education at Glance 2015. Oecd Indicators), in Italia si spendono per ciascun studente queste somme: fino alla terza media 90mila dollari; fino al diplo-ma di secondaria superiore 134mila dollari; fino alla laurea trien-nale 158mila dollari; fino alla laurea magistrale 178mila dollari; e fino al dottorato 228mila dollari.

Vi sono anche i costi (seppure più contenuti) sostenuti per i migranti che non sono arrivati al diploma. Tuttavia, il conteggio è parziale, perché è difficile tenere conto delle altre spese pub-bliche (detrazioni fiscali a favore delle famiglie, donazioni alle scuole, borse di studio) e di quelle aggiuntive sostenute dalle stesse famiglie per far studiare i figli all’università (secondo stime, almeno dai 500 ai 2mila euro l’anno e fino a 5mila euro per gli studenti fuori sede). Inoltre, non vanno dimenticate le spese ordinarie affrontate dalle famiglie per il sostentamento dei figli fino a 18 anni che, pur differenziate a seconda del reddito familiare, sono state stimate in media in Italia attorno ai 61mila euro.

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Tra le perdite che subisce il paese di origine vanno inclusi i mancati introiti derivanti dal deposito e dall’utilizzo all’estero di brevetti messi a punto dai ricercatori emigrati. Una persona che lascia il proprio paese, quindi, rappresenta sempre un notevole “capitale”, specialmente nel caso dei laureati e dei dottori di ricerca e, ancor di più nei casi dei veri e propri talenti (ricerca del 2011dell’Istituto per la competitività e del 2014 dell’Euro-pean Research Center). Ne consegue che, se gli italiani si recas-sero all’estero senza alcun tipo di ritorno, o di contropartita, la perdita economica per il sistema paese sarebbe rilevante.

In realtà, non mancano le compensazioni: immediatamente la diminuzione della disoccupazione intellettuale e, in prospetti-va, la promozione dell’immagine dell’Italia, l’impatto sul turismo, l’invio di risparmi, i collegamenti scientifico-culturali e, talvolta, anche il ritorno con una esperienza professionale perfezionata.

Un altro fattore di compensazione è costituito dagli immi-grati stranieri venuti a stabilirsi in Italia. Essi sono aumentati negli anni 2000 da meno di 1,5 milioni a 5 milioni (mentre circa un altro milione ha acquisito nel frattempo la cittadinanza italia-na), inserendosi nel mercato occupazionale (2,3 milioni di occu-pati, 466mila disoccupati e oltre 500mila le imprese condotte da immigrati). Anche loro sono portatori di investimenti in istru-zione.

UN BILANCIO NON NEGATIVO TRA USCITE ED ENTRATE

Tra i cittadini italiani laureati e diplomati, i cancellati per l’estero nel periodo intercensuario 2001-2011 sono stati 180mila; nello stesso periodo la popolazione straniera residente in Italia ha conosciuto un forte incremento di 243mila laureati e 841mila diplomati.

Per il successivo periodo 2012-2014, la Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro dell’Istat attesta che il livello di istruzione della popolazione straniera residente ha conosciuto una variazio-ne simile a quella riscontrata tra gli italiani con questo risultato finale: persone di 15 anni e più con istruzione superiore, tra la popolazione straniera 50,0% e tra la popolazione italiana 48,1%.

Nel periodo 2012-2014, a fronte di circa 60mila laureati italiani espatriati, vi sono circa 15mila laureati italiani rimpatriati e oltre 100mila laureati in più tra gli stranieri residenti e quelli diventati nel frattempo cittadini italiani e i soggiornanti in attesa di registrazione anagrafica.

Nel volume viene posto in evidenza che gli stranieri con un più elevato livello di istruzione risiedono maggiormente nelle regioni del Nord e del Centro Italia, più attrattive perché econo-micamente più forti.

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CONCLUSIONI DELLA RICERCA DELL’ISTITUTO DI STUDI POLITICI “S. PIO V”

La ricerca dell’Istituto “S. Pio V” conclude che in Italia l’immigrazione, insieme ad altri fattori (istruzione, ricerca, sviluppo), contribuisce a non abbassare il capitale culturale del paese e conferisce uno spessore concreto a quella che viene definita “la circolazione dei cervelli” (che pure restano poco valorizzati). In presenza di uscite e di ingressi di lavoratori con un livello di istruzione superiore sarebbe più corretto parlare di reciproco arricchimento, valutandone l’impatto nel medio e nel lungo termine.

D’altra parte, la “circolazione dei migranti qualificati”, è ancora più accentuata in altri paesi ad alto sviluppo nei quali si riscontrano però maggiori entrate rispetto all’Italia perchè rie-scono a creare più posti ad alta qualificazione, sollecitando l’in-serimento degli immigrati.

La tendenza dei laureati italiani a trasferirsi all’estero dovrebbe potersi basare maggiormente su una libera scelta. Diventa perciò indispensabile la corretta comprensione delle ragioni che spingono a emigrare: mancanza di un’occupazione o di un’occupazione confacente alla formazione ricevuta, non rispetto della meritocrazia e ristrette possibilità di avanzamento, forme contrattuali precarie, scarso sostegno ai progetti di ricerca, penuria dei servizi necessari, mancato collegamento tra l’univer-sità e il mondo produttivo, interesse al completamento della propria formazione con un’esperienza estera (le indagini di Istat, Isfol, Cnr, Almalaurea, Cnel e diversi altri centri studi e fondazioni, vengono citate nel volume).

Il problema del Sistema-Italia non consiste tanto nella mancanza di personale con una istruzione superiore, quanto nell’incapacità di utilizzarlo in maniera adeguata, così da contenere la partenza dei talenti italiani e da inserire con maggiore apertura i talenti esteri.

In tale prospettiva, non verrà meno il flusso di italiani che si recheranno all’estero ma si determinerà una positiva circolazione di personale qualificato, come viene evidenziato nella ricerca dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.


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