di Maria Rossi*
Con i loro occhi, con la loro voce (2014) di Lucio Simonato è un libro che parla di migrazione, di immigrati, di storie umane e di noi in quanto società cosiddetta d’accoglienza. Sono storie che arrivano da lontano, da diverse aree geografiche, e portano con sé percorsi di vita dei più disparati. Non è mai facile raccontare l’immigrazione. Se ne parla tanto, quasi ovunque. I fatti ce lo impongono. I telegiornali ne sono pieni. Eppure raccontare è cosa diversa. Perché per raccontare bisogna entrare nella storia. Simonato scrive questo libro, e affronta una ricerca frutto di un’iniziativa del tutto personale, per parlare di immigrazione e di immigrati in modo diverso, proponendo il punto di vista dei protagonisti, senza filtri né mediazioni.
Per farlo sceglie la ricerca qualitativa come strumento d’indagine, una ricerca che si basa sull’esperienza, sull’empirismo, sulla sperimentazione. Nella letteratura specifica di riferimento si è molto discusso sulla validità scientifica di questo tipo di analisi. A fronte delle critiche sulla struttura eccessivamente aperta del lavoro, sulla leggibilità difficoltosa dei dati con essa raccolti e sulla presenza troppo evidente del ricercatore/intervistatore che potrebbe condurre a conclusioni fuorvianti o ad una mancanza di obiettività, la ricerca qualitativa raccoglie attorno a sé, un gran numero di seguaci e sostenitori che insistono proprio su questi aspetti come determinanti per poter raggiungere risultati che la fredda e statica ricerca quantitativa non riuscirebbe a cogliere. Muoversi in un livello micro, come si fa nell’indagine qualitativa, significa poter approfondire, captare differenze e sfumature, significa poter anche modellare e non essere vincolati a rigide strutture preconfezionate. Molto spesso si è detto che questa metodologia dà voce a chi non ce l’ha e, al di là di un non troppo velato luogo comune che questa frase potrebbe contenere in sé, è vero che, come afferma Dal Lago in Non-persone (2005), quando si lavora con popolazioni o gruppi di persone “al margine” è possibile accedere ad una lettura più significativa delle loro parole, immagine e idee, purché non vengono loro imposte strutture di significato altrui.
Ed è questo quello che fa Lucio Simonato con il suo progetto di ricerca confluito poi nel libro Con i loro occhi, con la loro voce. L’autore crede in questa metodologia, ne abbraccia a pieno i principi fondamentali e, ad essi, aggiunge le sue emozioni, la sua partecipazione, la sua empatia per dare spazio alle storie migranti di uomini e donne che ha incontrato sul suo cammino. E sono questi uomini e queste donne i protagonisti indiscussi di questo libro. Le storie dei migranti si susseguono mettendo a disposizione del lettore la loro memoria, i ricordi del passato e le speranze per il futuro. Alcuni lo fanno in modo discreto, con un certo riserbo, mentre altri sono fiumi in piena, come se non aspettassero altro che qualcuno chiedesse loro di raccontare e lo fanno con una tale dovizia di dettagli da far persino sentire il lettore in imbarazzo, come un ospite che entra nei luoghi più intimi dell’altro.
Dalle parole degli intervistati emergono i temi più comuni alla questione migratoria: i percorsi e i lunghi cammini affrontati dai migranti per arrivare ad una meta, che per molti non è la loro definitiva, ma è di passaggio, di transito in attesa di nuovi spostamenti; la ricerca di una casa nel luogo d’arrivo; l’esistenza o la necessità di creare reti di sostegno, siano esse associative o vincolate alle istituzioni locali oppure amicali o familiari e quindi una rete di conoscenze che molto spesso è la vera motrice degli spostamenti; le prime difficoltà economiche e l’urgenza di un lavoro da cui dipendono molte – e spesso troppe – cose (la sussistenza in primis, ma anche la possibilità di richiamare il resto del proprio nucleo familiare, di aiutare la famiglia rimasta nel paese d’origine con le rimesse, passando poi per quello che avere un lavoro e uno stipendio può significare o comportare nella società d’arrivo: stima, “successo sociale” e un’integrazione che passa spesso solo –deplorevolmente ma spesso realisticamente– per un filtro di tipo economico); l’inserimento nel sistema scolastico dei figli arrivati in un secondo momento in Italia e la fatica del loro inserimento; il ponte culturale che essi rappresentano per molti dei genitori migranti, fino alla sensazione di “sentirsi straniero” che molti vivono al momento dell’arrivo e che continua ad accompagnarli per lungo tempo; arrivando ad aspetti che sembrano avere confini meno netti ma che quotidianamente coinvolgono i migranti costringendoli a negoziazioni, a mediazioni e prese di posizione quali l’uso e il disuso della lingua d’origine e quella di arrivo, il rapporto con le tradizioni culturali del paese d’origine e tutto quell’ampio ventaglio di sentimenti (solitudine, nostalgia, soddisfazione personale, senso di fallimento, umiliazione, ma anche gioia e contentezza) che caratterizza il percorso migratorio di un individuo.
Su questi temi si è detto e scritto molto sia in ambito accademico che nei media e il libro di Simonato si inserisce nel dibattito con una doppia valenza. Serve ai migranti, sia quelli che hanno direttamente contribuito affidando le loro storie al registratore dell’autore ma anche a quelli che lo leggeranno e potranno riconoscersi nelle parole dei primi, però serve soprattutto a quelle persone che migranti non sono, ma che vivono e condividono spazi e la quotidianità con loro, ovvero tutti noi. Per i primi narrarsi rappresenta la possibilità che il soggetto ha di ordinare e attribuire senso alla realtà attraverso una lettura a posteriori. Raccontare diventa un modo per riflettere su se stessi, sulle esperienze che hanno costruito il loro percorso di vita, sul loro significato. Per i secondi, invece, costituisce uno strumento di riflessione, sulla nostra società e sul rapporto che abbiamo, costruiamo o ci neghiamo ad avere con l’altro, con l’alterità che i migranti rappresentano e dunque, per riflesso, anche sulla nostra identità, su quel concetto di identità nazionale che nella teoria vorremmo superare o quanto meno ridefinire ma che invece nel concreto spesso trova spazio per riemergere e creare barriere; infine sulla “costruzione” sociale della figura dell’immigrato che è troppo spesso solo una questione politica e di retorica istituzionale.
Con i loro occhi, con la loro voce è un’opportunità di conoscenza, non del migrante, o comunque non solo, ma della società di cui facciamo parte e dei suoi cambiamenti.
*Contenuto pubblicato in collaborazione con La macchina sognante. Immagine in copertina di Chris Debode.
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[…] Questa recensione è un progetto congiunto con Frontiere News. Trovate l’articolo in questo link http://frontierenews.it/2016/10/con-i-loro-occhi-con-la-loro-voce/ […]