Perché abbiamo occupato il red carpet di Venezia in nome dell’ambiente

Parlano gli attivisti che hanno ‘invaso’ il Festival del Cinema e ricevuto l’appoggio di Mick Jagger e Roger Waters: “Venezia è diventata la città delle navi inquinanti e grandi opere fallimentari; da qui lanciamo l’allarme per tutelare l’ambiente e la biodiversità”


Lo avevano annunciato sin dall’inizio, i giovani del Climate Camp. Come si usa adesso, ne avevano fatto pure un hashtag: #wewanttheredcarpet. Noi vogliamo il tappeto rosso. Il tappeto in questione è quello conduce all’elegante sala delle premiazioni della Mostra del Cinema di Venezia. Quello riservato ai grandi divi dello schermo che fanno passerella tra fan scatenati a chiedere autografi e selfie. Mai, prima di sabato 7 settembre, il tappeto rosso delle celebrità era stato “profanato” da persone che con i luccichii di Hollywood hanno poco da spartire. “Anche se, a ben vedere, di film dedicati a disastri ambientali ed a futuri apocalittici ne sono stati realizzati a centinaia – scherza Chiara Buratti, attivista dello spazio sociale Morion di Venezia -. Stavolta che al futuro apocalittico ci siamo davvero vicini e che, in quando a disastri ambientali, ne avremmo da vendere, ci è sembrato giusto salire sul red carpet per ribadire che i cambiamenti climatici e le devastazioni che comportano, ci piacciono solo nei film di fantascienza”. Chiara è una dei 400 tra ragazze e ragazzi, rigorosamente vestiti di tute bianche, che al sorgere del sole di sabato hanno scalcato la cancellata del Palazzo del Cinema e sono andati a sedersi sul red carpet. Un vero e proprio blitz che ha preso in controtempo le forze dell’ordine, convinte che l’annunciata occupazione dell’ingresso delle Mostra sarebbe stata tentata nel tardo pomeriggio, in occasione della manifestazione cittadina. Alla polizia non è rimasto altro che far cordone attorno agli occupanti, impedendo a tanti altri attivisti che arrivavano da Venezia di raggiungerli per dar loro man forte, rifornirli di cibo e, soprattutto, di acqua, considerato che la giornata era afosa e il sole non dava tregua.

Il tappeto rosso si colora di verde

L’assedio è durato oltre sette ore. Alla fine, ottenuta la visibilità voluta, gli attivisti se ne sono ritornati pacificamente al Camp. Ma per tutto il tempo che hanno tenuto duro sopra il Red Carpet, non hanno cessato un solo minuto di alternarsi ai megafoni per chiedere, tanto alla politica quanto alla cultura, di riconoscere come tema centrale delle loro agende l’emergenza imposta dai cambiamenti climatici. Una emergenza che ha come posta in gioco il futuro del pianeta. Richiesta rimasta inascoltata dai vertici della Mostra del Cinema, irritati dal fatto che, per la prima volta in 76 edizioni, il loro prezioso tappeto rosso sia stato oltraggiato da attivisti. Solidarietà senza confini invece è arrivata da molti artisti. Su tutti ricordiamo l’intero cast del film “Effetto domino” di Alessandro Rossetto. Alcuni dei suoi interpreti erano seduti sul tappeto con gli attivisti. E ancora l’attore Donald Sutherland e due mostri sacri della musica rock del calibro di Roger Waters e Mick Jagger. “Sono felice che i giovani abbiano occupato il tappeto rosso – ha dichiarato la voce dei Rolling Stones -. Sono loro che erediteranno il pianeta”. Jagger non ha risparmiato una frecciata contro Donald Trump: “Purtroppo negli Usa le leggi che avrebbero aiutato a proteggere il clima sono stati tutte annullate. I ragazzi fanno bene ad arrabbiarsi e a manifestare”. E intanto che qualcuno già twittava che due “semi conosciuti” come Jagger e Waters vanno solo in cerca di visibilità per avere una particina in qualche film, le ragazze e i ragazzi sopra il carpet cambiavano il loro hashtag in: #greenredcarpet. “Abbiamo colorato di verde il tappeto rosso”.

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Cannonate contro il campanile di San Marco

Quindici minuti a piedi dai fasti della Mostra del Cinema di Venezia, proprio nel cuore della lunga striscia di terra del Lido che separa la laguna dal mare Adriatico, c’è un forte militare abbandonato che risale agli inizi del secolo scorso. Nella seconda guerra, dopo l’armistizio, i soldati tedeschi che lo avevano occupato, minacciarono di tirare cannonate contro il campanile di San Marco. Con una azione esemplare, i partigiani riuscirono a disarmare la guarnigione nazista che si arrese prima di fare il tiro a segno sulla Piazza. Non è facile trovare il forte. Tutta la struttura è coperta da una fitta vegetazione e solo un branco di capre selvatiche portato là negli anni ‘70 da qualche figlio dei fiori riesce ad arrampicarsi sopra le mura per pascolare. Proprio qui i ragazzi e le ragazze di Fridays For Future e gli attivisti del comitato No Grandi Navi hanno deciso di realizzare il Climate Camp, il primo campeggio dedicato alla difesa del clima. “C’è voluto una settimana di lavoro ai nostri quaranta attivisti, per ripulire tutto, fare amicizia con le capre e rendere l’area utilizzabile anche per chi vorrà continuare ad utilizzare l’area quando noi ce ne saremo andati” ci spiega Anna Irma Battino, giornalista di Global Project, il portale che ha curato la comunicazione del Camp.

Tutto ad impatto zero

L’invito lanciato da FfF e dai No Navi a venire a Venezia con la tenda e il sacco a pelo per partecipare ai cinque giorni di campeggio climatico è stato accolto da un migliaio di attivisti provenienti da tutta Europa, in rappresentanza di tantissimi movimenti e associazioni. Ho incontrato un gruppo di ragazze e ragazzi provenienti dalla città tedesca di Colonia che sono arrivati in laguna a piedi. Greta ne sarebbe entusiasta. Sono studenti universitari che militano nel comitato Ende Gelände che lotta per chiudere la miniera di carbone di Garzweiler, uno dei siti più inquinanti e inquinanti dell’Ue. Per arrivare a Venezia ci hanno impiegato tutte le vacanze ma, dicono, ne valeva la pena “perché chi non ha mai viaggiato a piedi non può dire di sapere cosa vuol dire viaggiare”. Al ritorno però, mi assicurano, prenderanno un treno. Al Camp si sono trovati bene. Hanno fatto le pulci alla struttura con un piglio davvero “teutonico” e l’hanno promossa a pieni voti. La cucina era completamente vegana e ha usato solo verdure coltivate nell’isola apposta per il Camp. A chilometro “super zero”, insomma. Le stoviglie e i bicchieri erano tutti riutilizzabili e prima di restituirli per avere indietro l’euro di caparra toccava lavarli e con detersivi eco-compatibili. E ancora: energia proveniente solo da un impianto fotovoltaico, biciclette per tutti, raccolta differenziata spinta, flora e fauna del litorale rispettata, capre comprese. Pure le zanzare sono state allontanate con prodotti biologici.

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Pensieri, parole, opere e omissioni

L’obiettivo del Climate Camp era quello di costruire dal basso un percorso di lotta europeo e condiviso per contrastare i cambiamenti climatici. Senza dimenticare che questa è fondamentalmente una lotta contro il capitalismo. Capitalismo che non è soltanto la causa dei cambiamenti climatici, ma anche dei dei disastri che produce e di cui si nutre, trasformandoli in merce e profitto. Senza questa premessa, come sottolineava Chico Mendes, l’ambientalismo non sarebbe altro che volenteroso giardinaggio.

Le azioni come l’occupazione del red carpet, la grande manifestazione finale che ha visto sfilare nelle strade del Lido alcune migliaia di persone dietro le bandiere dei No Navi, e anche la “battaglia navale” del venerdì, in cui una ventina di imbarcazioni ha inseguito la Msc Lirica sul canale della Giudecca mentre le lance della polizia cercavano di allontanarle, sono state precedute da incontri e discussioni che hanno visto la partecipazione di tanti relatori provenienti da tutta Europa e anche dal resto del mondo, come Moira Millán, portavoce del popolo mapuche della Patagonia, e Nnimmo Bassey, attivista nigeriano. Il tutto diviso in tre grandi tematiche: Grandi opere, migrazioni e ecofemminismo. I tre campi di battaglia in cui si giocherà la partita per il futuro della Terra.

Venezia B

Venezia, città fondata su un irripetibile equilibrio tra terra e mare, luogo d’incontro tra oriente ed occidente, crogiolo di lingue mediterranee e porto sempre aperto per i viaggiatori che arrivavano dalle altre sponde del mare, è stata la poetica ed emblematica cornice che ha donato prestigio al Climate Camp. “Proprio da questa città in cui i finanziamenti destinati alla salvaguardia sono stati dirottati alla realizzazione di una grande opera come il Mose, che si è rivelata fallimentare e devastante per l’ambiente; proprio da questa città dove le enormi ed inquinanti navi da crociera continuano a transitare indisturbate a pochi metri da piazza San Marco – ha sottolineato Marco Baravalle, portavoce del Sale Docks – proprio da questa città che sarà una delle prime a venire colpita dall’innalzamento del mare, vogliamo lanciare un appello affinché venga invertita una rotta che non porta verso nessun futuro, fermando la politica delle grandi opere e del consumo indiscriminato del suolo, per tutelare l’ambiente e la biodiversità”. Se è vero quello che dice Greta Thunberg che non abbiamo un piano b, è altrettanto vero che non abbiamo neppure una Venezia di riserva.

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Foto e video su gentile concessione di Global Project


Profilo dell'autore

Riccardo Bottazzo
Giornalista professionista e veneziano doc. Quando non sono in giro per il mondo, mi trovate nella mia laguna a denunciare le sconsiderate politiche di “sviluppo” che la stanno trasformando in un braccio di mare aperto. Mi occupo soprattutto di battaglie per l’ambiente inteso come bene comune e di movimenti dal basso (che poi sono la stessa cosa). Ho lavorato nei Quotidiani dell’Espresso (Nuova Venezia e, in particolare, il Mattino di Padova). Ho fatto parte della redazione della rivista Carta e sono stato responsabile del supplemento Veneto del quotidiano Terra. Ho all’attivo alcuni libri come “Liberalaparola”, “Buongiorno Bosnia”, “Il porto dei destini sospesi”, “Caccia sporca”, “Il parco che verrà”. Ho anche curato e pubblicato alcuni ebook con reportage dal Brasile pre mondiale, dall’Iraq, dall’Algeria e dalla Tunisia dopo le rivoluzioni di Primavera, e dal Chiapas zapatista, dove ho accompagnato le brigate mediche e un bel po’ di carovane di Ya Basta. Ho anche pubblicato racconti e reportage in vari libri curati da altri come, ricordo solo, gli annuari della Fondazione Pace di Venezia, il Mio Mare e Ripartire di FrontiereNews.
Sono direttore di EcoMagazine, sito che si occupa di conflitti ambientali, e collaboro con Melting Pot, FrontiereNews, Global Project, Today, Desinformemonos, Young, Q Code Mag, il Manifesto e lo Straniero. Non riesco a stare fermo e ho sempre in progetto lunghi viaggi. Ho partecipato al Silk Road Race da Milano a Dushanbe, scrivendo reportage lungo la Via della seta e raccogliendo racconti e fotografia in un volume.
Non ho dimenticato la formazione scientifica che ho alle spalle e, quando ho tempo, vado a caccia di supposti fantasmi, case infestate o altri "mysteri" assieme agli amici del Cicap, con il quale collaboro per siti e riviste.

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