Vito Fiorino, pescatore eroe contro la mattanza dell’indifferenza

Il 3 ottobre 2013 Vito Fiorino salva 47 migranti con il suo peschereccio, mettendo a rischio la sua stessa vita. È la notte della “mattanza”: muoiono 368 persone, una delle peggiori stragi del Mediterraneo. Sei anni dopo, Vito continua la sua battaglia contro chi ha permesso e permette le morti in mare. Senza guardare in faccia a nessuno.

Nella notte tra sabato 5 e domenica 6 ottobre, a sei miglia da Lampedusa, sono state recuperate le salme di 13 persone, tutte donne, alcune incinte. Appena tre giorni prima nell’isola si ricordava la strage del 3 ottobre 2013, in cui avevamo perso la vita 368 migranti. Politici, istituzioni, gente comune e addetti ai lavori dicevano all’unisono “mai più morti in mare”. Parole evidentemente buttate al vento.

Nel consueto cacofonico chiacchiericcio post tragedia, una voce gentile e ferma emerge rispetto alle altre. È una voce dall’accento milanese, di Sesto San Giovanni per la precisione.

Vito Fiorino, 70 anni, una vita da falegname, passa sei mesi l’anno a Lampedusa, dove gestisce la gelateria di sua figlia. Fino a poco tempo fa era anche un pescatore, almeno per diletto.

Quella maledetta notte di sei anni fa non riesce a togliersela dalla testa. Vito è con alcuni amici a bordo del suo peschereccio, il Gamar. Sono i primi ad avvicinarsi al luogo del naufragio, poche centinaia di metri dalla Spiaggia dei conigli. Chiamano la Capitaneria di porto, “sei o o sette volte”, ma nessuno arriva. Non c’è tempo da perdere. Vito e i suoi amici lanciano salvagenti, qualcuno si tuffa, aggrappano mani. Alla fine ne salvano 47, caricando il peschereccio oltre le sue possibilità.

Inaugurazione del memoriale delle vittime della tragedia del 3 ottobre. Vito Fiorino abbraccia uno dei migranti salvati.

Avremmo dovuto intervistare Vito Fiorino subito dopo l’inaugurazione del memoriale da lui voluto per ricordare tutte le vittime del 3 ottobre. Abbiamo dovuto spostare l’intervista: il mare continua a far vittime.

Vito, tre giorni fa grandi celebrazioni per il memoriale che tu e Gariwo avete dedicato alle vittime del mare e ai Giusti che salvano i migranti. Oggi, invece, la mestizia di un’ennesima straziante tragedia. Ci si abitua mai?
È sempre molto dura, anche questa volta è stata molto dura. Sembra esattamente la fotocopia di sei anni fa.

In molti hanno lamentato la totale assenza delle istituzioni dai funerali delle vittime.
Ho visto qualcuno della finanza, dei carabinieri e della capitaneria. Nessun altro.

Finirà mai tutto questo?
Mi sembra una mattanza di tonni, di quelle che si facevano una volta qui in Sicilia. Io di base sono fiducioso, ma se nessuno dice niente le cose andranno così per tanto tempo, per questa gente e per chi gestisce questi traffici. Voglio dirti una cosa: io mi sono avvicinato alla Shoah solo quest’ultimo anno.

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Qual è il nesso tra l’Olocausto e la “mattanza” dei migranti?
Ho sempre avuto un gran fastidio nel vedere le immagini della Shoah, anche da ragazzino. Da quando mi hanno nominato Giusto e le scuole hanno cominciato a invitarmi a parlare con i ragazzi, ho iniziato a capire che la Shoah di oggi avviene nei mari. A quei tempi fu un pazzo scatenato chiamato Hitler a dare la scintilla per l’uccisione degli ebrei, oggi è il mondo intero il responsabile delle morti in mare. E noi sosteniamo chi tratta queste persone come merci. Non è accettabile.

Vito Fiorino, nominato Giusto in Giordania. Cerimonia allo Sharhabil Bin Hassneh Eco Park

Il 3 ottobre ha molta risonanza mediatica, ogni anno. In tanti ricordano le vittime. I politici dicono “mai più”, eppure niente cambia.
Il mio punto è celebrare con i ragazzi sopravvissuti. È un momento di dolore ma anche di gioia: loro ci sono, altri non ci sono più. Quindi questa “gioia ovattata” la condivido con loro. Liliana Segre parla dell’indifferenza di chi, al binario 21 della stazione di Milano, si girava dall’altra parte quando gli ebrei venivano deportati. Allo stesso modo ho deciso di combattere l’indifferenza da parte di chi, quella notte, ha deciso di non condurre verso la terra ferma i migranti.

Come reagiscono i lampedusani?
Sull’isola si dimentica. Sono successe tante cose e i lampedusani vogliono i fatti. Non le parole e i ricordi. A loro piace agire, e hanno sempre agito nei confronti dei migranti. Sempre.

Come vivevi gli sbarchi dei migranti prima del 3 ottobre 2013?
Non ero a stretto contatto con loro, li vedevo e non capivo. Una notte, tornando dalla mia gelateria, trovai dei migranti eritrei con uno striscione in cui era scritto “no impronte”. Ma come, pensai, vi salviamo, vi accogliamo e voi non volete rispettare le nostre leggi? Fu questo il mio primo pensiero. Ma poi ho capito.

Cosa?
Ho capito perché non vogliono lasciare le impronte, perché non vogliono rimanere in Italia. E oggi dico: hanno ragione, non devono lasciare impronte! Dei 155 migranti sopravvissuti quella notte, 154 non sono più in Italia. Ci sarà un motivo: nelle altre nazioni sono accettati, hanno case decenti, possono ricongiungersi con le famiglie. In Italia no, non siamo pronti.

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Vito con alcuni dei migranti salvati il 3 ottobre 2013

Cosa vuol dire “non siamo pronti”?
Non riusciamo a organizzare prassi efficaci per aiutare effettivamente. Perché negli altri paesi i migranti sono messi nella condizione di imparare le lingue ed essere inseriti nel mercato del lavoro? Perché qui invece li teniamo nelle baracche a raccogliere i pomodori? Perché non sappiamo organizzarci?

Sembrerebbe, da quello che dici, che il problema sia più di disorganizzazione che di malafede.
Malafede e disorganizzazione. La malafede non fa organizzare. Se io sono in malafede di sicuro non so aiutare.

È azzardato dire che nella vita di Vito Fiorino esiste un prima e un dopo il 3 ottobre?
È proprio così. Sono sempre stato mite, ma da quel giorno ho una forza interiore che mi porta a voler parlare con le persone per dire loro che possono fare la differenza. Questo però funziona solo con i giovani, le persone della mia età o leggermente meno anziane in questo paese non hanno nessuna voglia di cambiare. A me, invece, il 3 ottobre mi ha cambiato molto. In meglio.

Sei in contatto con le persone che hai salvato?
Sì, ne sento tanti. Ma non conoscendo l’inglese sono dipendente dai traduttori automatici del cellulare. Mi chiedono come sto, come vanno le cose sull’isola. Si è creata una vera e propria famiglia.

Cosa fanno adesso?
Sono tutti sistemati, in nord Europa. C’è chi guida i pullman, chi assiste gli anziani, tutti hanno un lavoro più che dignitoso. Quando sono andato a trovare alcuni di loro in Svezia mi hanno preso con la loro auto in aeroporto e abbiamo passato dei bei momenti insiemi. Ma è una finta spensieratezza, anche loro pensano spesso a quella notte e a chi hanno perso.

Rispetto al 2013, come è cambiata la sensibilità delle persone verso i migranti?
Non è cambiato niente, è tutto stabile. La gente si fossilizza, non dice più niente, ognuno pensa ai propri affari. A questo si aggiunge la cattiva pubblicità dei media: hanno detto tante menzogne sulle “invasioni” a Lampedusa, mortificando il turismo sull’isola.

Sono passati tanti anni ormai da quella notte, che hai ampiamente raccontato in tanti dibattiti pubblici. Cosa ti è rimasto indelebile nella mente? Qual è il fermo immagine che non riesci a cancellare?
Un anfiteatro di persone, in acqua, che urla chiedendo aiuto, con le braccia alzate. Anche ora, in questo esatto momento in cui sto parlando con te, se chiudo gli occhi me li vedo davanti. Una macchia di esseri umani con le braccia in alto. E poi un’altra immagine: le bare allineate, ovvero la consapevolezza di non aver fatto abbastanza per salvare più persone. Lasciamelo dire ancora un’altra volta, è stata l’indifferenza a far sì che quelle persone non vedessero l’alba. Immagini che mi accompagneranno fino alla morte. Ne sono certo.

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Eppure non sei rimasto fermo al ricordo di quella notte o all’esaltazione di quello che hai fatto.
Nel 2014 feci una dichiarazione spontanea a un magistrato, spiegando perché la notte non riuscivo a dormire e perché provavo quel forte dolore interiore, denunciando il fatto che quella notte si sarebbero potuti salvare tutti. Lui mi disse: “Ma chi glielo fa fare?” Proprio così.

E tu cosa hai risposto?
Gli ho detto che sono spinto dai valori della vita che ho dentro di me, è quello che mi fa andare avanti. Era convinto che fossi lì per denunciare il fatto che la capitaneria di porto voleva estorcermi una firma sul documento che la mia prima chiamata fosse stata alle 7.01 e non alle 6.25. Loro si sono presentati in mare alle 7.25. Ma non è questo ciò che mi muove. Sono mosso dalla fame di giustizia per queste persone che non dovevano morire.

Hai sempre detto che i migranti si sarebbero potuti salvare tutti. E che nei giorni seguenti ci sono state bugie, insabbiamenti e pressioni.  Ci sono processi in corso. Come procedono le vicende giudiziarie?
Sono stato chiamato a depositare per un processo, probabilmente se ne aprirà un altro… non mi fermo. A chiunque mi chiederà, io dirò quello che è successo quella notte e nei giorni successivi.  Non mollo.

 


Profilo dell'autore

Joshua Evangelista

Joshua Evangelista
Responsabile e co-fondatore di Frontiere News. Scrive di minoranze e diritti umani su Middle East Eye, Espresso, Repubblica, Internazionale e altre testate nazionali e internazionali

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