Ho incontrato chi li ospita a casa sua

Da quando Salvatore Borgese ha aperto casa a Mamudou, un giovane in fuga dal Gambia, ha deciso di scrivere un diario a capitoli sui suoi social. Una convivenza non banale, decisamente lontana da qualsiasi luogo comune. Gli abbiamo chiesto di condividere questa esperienza con i lettori di Frontiere, senza escludere i pregiudizi degli altri, le storture della burocrazia italiana e le sfide di tutti i giorni.

di Luca La Gamma

Il mio incontro con Salvatore Borgese è stato del tutto casuale; ci siamo ritrovati nella stessa stanza mentre addetti ai lavori ci presentavano il progetto di sartoria di Casa Scalabrini 634. Lui è intervenuto per chiedere maggiori informazioni sulle possibilità lavorative che questi corsi avrebbero dato ai migranti.

Ospito un neo maggiorenne del Gambia, a breve gli scadrà il permesso di soggiorno e per prolungarlo ha bisogno di un lavoro con contratto regolare”. Questa frase ha decisamente colto la mia attenzione.

Mi sono detto che c’è davvero chi in Italia non rimane indifferente agli ultimi e ha il coraggio di ospitare in casa propria chi è meno fortunato, andando controcorrente rispetto a quei politici che usano questo slogan in maniera provocatoria. Avvicino Salvatore e gli chiedo i contatti e la disponibilità per poter scambiare quattro chiacchiere. Lui mi invita a leggere la storia di Mamudou e del suo ingresso nella sua famiglia sul proprio profilo Facebook (che noi abbiamo riportato integralmente per gentile concessione di Salvatore Borgese).

Decido di approfondire, rimanendo colpito da quanto lavoro ci sia dietro la volontà di ospitare un migrante in casa propria.

Come nasce la voglia di ospitare un giovane migrante?

Da parte nostra era vivo il senso di vergogna per le palesi violazioni del diritto internazionale di cui si è macchiata l’Italia quando i vertici delle nostre istituzioni vantavano come un successo il braccio di ferro con l’Europa, che stava lasciando i naufraghi al largo e gettando fango sulle organizzazioni di volontariato, uniche testimoni e possibili soccorritrici sulla rotta pericolosissima della migrazione. In quello stato d’animo è piombata la richiesta d’aiuto da parte dell’associazione di tutori di cui faccio attualmente parte. Mamudou rischiava di finire in mezzo a una strada e così abbiamo deciso di compiere un gesto di aiuto, avendo uno spazio disponibile in casa.

Come hanno reagito i vostri parenti di fronte a questa decisione?

I parenti più stretti, che frequentiamo più spesso, hanno appoggiato la nostra scelta e si sono adattati venendoci anche incontro e capendo le nostre piccole difficoltà. Alcuni hanno offerto aiuto in beni o in denaro, di cui al momento non abbiamo avuto bisogno. I parenti che vediamo meno – abbiamo ramificazioni di famiglie che vanno anche molto lontano, tra me e mia moglie abbiamo ben 17 zii e zie – hanno quasi tutti saputo tutto via Facebook.

Raccontaci il primissimo impatto con Mamudou.

L’incontro con Mamudou è stato morbido. L’ho incontrato in un bar vicino casa insieme ad Alessandra Aldini di Officina 47, il suo compagno Riccardo e il ragazzo che ospitano loro, Ibrahim, grande amico di Mamudou e ospite insieme a lui della casa famiglia che li ha visti crescere insieme negli ultimi due anni. Ibrahim si è trasferito a casa di Alessandra prima ancora che raggiungesse i 18 anni, quando lei era sua tutrice. Mamudou invece non aveva tutore, quindi il suo tutore era il sindaco di Ciampino, dove erano ospiti.

Perché parli di un incontro morbido?

Perché ci siamo visti in quel bar con mia moglie Antonella solo per “annusarci” e confermarci di non aver fatto una sciocchezza. Era molto timido Mamudou e non ti guardava quasi mai negli occhi, quando stringeva la mano porgeva solo l’estremità delle dita e debolmente, come se avesse timore. Ma ci è parso un ragazzo per bene e nonostante parlasse a stento, capiva perfettamente l’italiano. Dopo il primo incontro sono trascorsi circa dieci giorni prima di portarlo a vivere da noi.

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Come si svolge una giornata tipo della vostra famiglia?

Il mio lavoro si svolge prevalentemente da casa, anche se ogni tanto vado in giro dai miei clienti. Mia moglie lavora su turni. Mio figlio Francesco ha 15 anni e frequenta scuola e piscina. Mamudou al mattino in genere svolge qualche lavoretto per me in giardino per poi trascorrere il pomeriggio a scuola vicino alla stazione Termini. Facciamo colazione insieme solo nel weekend e anche per pranzo e cena è difficile che ci siamo tutti, per via di orari e impegni.

Quali sono state le principali difficoltà riscontrate fin qui?

Le principali difficoltà sono connesse al fatto di chiarire che non siamo un ente benefico, non percepiamo uno stipendio né alcun rimborso, ma siamo una famiglia, con orari ed esigenze, ritmi e abitudini, spese da affrontare e tempi limitati. Questo ha portato a più di un conflitto: rientri a casa fuori orario consentito, comportamenti espressamente vietati come il fumo in casa, risvegli fuori orario massimo… insomma, incidenti di percorso quando si passa da una casa in cui si è liberi a una in cui si deve convivere. Un paio di volte ho dovuto essere anche più duro di quanto avrei voluto. Io non sono il padre di Mamudou ma lui vive nella nostra famiglia ed è necessario che si allinei alle esigenze comuni; e se qualcosa lo disturba, ne possiamo discutere. Per il resto, le vere difficoltà e ansie ce le sta regalando la nostra pubblica amministrazione che non aiuta per nulla, anzi.

Come procede l’integrazione tra tuo figlio Francesco e Mamudou?

L’età non giova, ci sono oltre 4 anni di differenza, ma li ho visti discutere di musica e di gioco, soprattutto in vacanza. Mamudou ogni tanto prova a salutarlo più simpaticamente, ma Francesco è piuttosto impegnato con la scuola, la pallanuoto, la sua amica del cuore… non credo abbiano fatto molto insieme, se non una partita con il calcio balilla che abbiamo in casa. Forse potrebbero capirsi con la PlayStation, ma gli accessi di mio figlio allo “strumento infernale” non superano le medie di uno al mese. Ma non è che non si parlino, sono seduti accanto a tavola e spesso, quando Mamudou chiede il significato di una parola, Francesco risponde oppure dialogano commentando qualche scena di film a cui assistono insieme.

Nei tuoi racconti ci parli spesso di un ragazzo determinato a trovare lavoro per poter finalmente rendersi autosufficiente, ma noi sappiamo che questa società è sempre più ostile per chi viene percepito come diverso. In vista della prossima scadenza del suo permesso di soggiorno, quanto ti angoscia sapere che questa bellissima favola potrebbe non avere un lieto fine?

Moltissimo. Mamudou è piuttosto fatalista e attende sempre la decisione di Dio che determinerà il suo futuro. Per ogni cosa, nella sua vita, c’è un tempo. E quel tempo, nella sua visione, lo determina Dio. Più volte mi ha ripetuto che se il permesso dovesse scadergli prima di riuscire a trovare un lavoro e lui dovesse automaticamente trovarsi a essere clandestino, riprenderebbe il suo viaggio verso il nord Europa che immagina essere più ospitale dell’Italia e dove crede si possa trovare agevolmente lavoro.

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Ho provato diverse volte a convincerlo che è lui stesso l’autore della sua vita e Dio benedice le sue buone azioni, ma non c’è verso. Mamudou è molto religioso. Frequenta la moschea e ha a disposizione nella sua camera anche un tappetino tutto suo e un battipanni (il tappeto deve essere immacolato per poter pregare).

Il suo approccio alla vita gli fa dire che al tempo giusto lui morirà e lo accetta tranquillamente. Così come lo aveva messo in conto quando è salito sul gommone a Sabrata, in Libia, quel suo ultimo giorno in Africa. Oppure sui pick-up nel deserto del Ténéré, dove se cadevi era facile venire abbandonato ad agonizzare. Figuriamoci quanto si preoccupa di ritrovarsi ad essere un clandestino in Italia o in Europa!

Come ti sei avvicinato alla realtà di Officina 47?

Grazie alla presidente Alessandra Aldini, mia “compagna di classe” di un corso per tutori tra novembre 2017 e gennaio 2018. Officina 47 è un’associazione di tutrici e tutori volontari di minori stranieri non accompagnati (m.s.n.a.). Il numero 47 è ispirato alla Legge Zampa, la legge 47 del 7 aprile 2017 che ha istituito la figura di questi tutori di m.s.n.a., persone volontarie che – dopo una formazione di alcune ore (40 ore nel Lazio, ndr) organizzata dai Garanti regionali per l’infanzia e l’adolescenza – vengono inserite in un elenco speciale dei Tribunali per i minorenni per poi essere chiamate a curare gli interessi dei m.s.n.a. Per legge morale, ma anche statale e anche secondo il diritto internazionale, non si possono respingere alla frontiera i minorenni. Una volta appurato che un migrante è minorenne, ma anche nel solo dubbio che lo sia, questo ragazzo ha diritto a un tutore che ne curi gli interessi e verifichi che i suoi diritti siano rispettati. Inoltre, il tutore deve assumere alcune responsabilità come, ad esempio, dare l’autorizzazione a un intervento chirurgico o la scelta del medico curante o ancora dell’avvocato nei casi in cui occorra. Esattamente come fa un genitore per il proprio figlio minorenne. Nelle more dell’assegnazione di un tutore volontario, questo ruolo viene ricoperto dal sindaco della città in cui dimora il ragazzo. È chiaro che i sindaci hanno molte attività da svolgere, per cui spesso delegano. A volte chi dovrebbe tutelare il minore straniero non accompagnato ha molti minori da seguire e non svolge appieno il suo compito.

Di fronte a questa emergenza è sorta Officina 47.

Sì, per volontà di alcuni aspiranti tutori che hanno percepito la necessità di costruire una rete di appoggio e condivisione delle informazioni utili, ma anche per fronteggiare le possibili emergenze. Nel tempo l’associazione ha allacciato rapporti con altre realtà di sostegno e assistenza per i minori migranti (come Save the Children e CivicoZero). Una delle caratteristiche principali dell’associazione è quella di avere una visione precisa dei tutori come di “genitori sociali” e non meri amministratori di interessi.

Cosa significa ospitare un migrante in Italia, alle soglie del 2020?

Rispondere a questa domanda mi mette un po’ in crisi, certamente la nostra è stata una scelta di reazione a una situazione sociale e politica che riteniamo inaccettabile e insostenibile. Ma la domanda mi mette in crisi perché non mi stai chiedendo perché lo facciamo ma il significato che ha per noi.

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Devo precisare che Mamudou non è un richiedente asilo. Lo sono quelli che hanno bisogno della protezione internazionale perché fuggono da persecuzioni o guerre. Lui migra per cambiare la sua vita, lo fa perché è in fuga dalla condizione in cui è nato: qualcuno lo definirebbe “migrante economico”. Parte dal Gambia, uno dei paesi più poveri del mondo, se non l’ultimo, sempre nelle ultime righe delle statistiche. È stato accolto in Italia come naufrago e minorenne. Ha ricevuto una base di istruzione linguistica e qualche rudimento culturale, ma ho idea che impari molto più quando vede un film seduto accanto a Francesco piuttosto che in una giornata di scuola. E sai che ti dico? Che anche noi abbiamo imparato un sacco di cose con Mamudou in casa, magari anche solo l’importanza di certe cose che davamo per scontate, come saper leggere l’ora in un orologio analogico. Recentemente abbiamo anche capito che la dimensione temporale è del tutto differente nella concezione europea rispetto a quella africana. In ultimo devo dire che da quando ho deciso di pubblicare la nostra storia di ospitalità ho trovato tanti nuovi amici. Mi pesa un po’ non vedere mai neanche un like di certe persone che fanno parte del mio giro di parenti e amici, ma spero sempre che un giorno facciano la fatica di leggere il racconto della storia di Mamudou e di capire che non è un parassita invasore di confini, ma un ragazzo che cerca la sua strada.

Adesso ti racconto una cosa. Mi sono messo a raccogliere le parole che ho sentito usare per definire i ragazzi come lui. E poi ho provato a trovare definizioni comparate. Sai, senza nessuno sforzo, quante ne ho trovate? Quindici, e tutte hanno significati con diverse sfumature: clandestino, dublinato, emigrato, espatriato, esule, extracomunitario, immigrato, irregolare, migrante, naufrago, profugo, richiedente asilo, rifugiato, rimpatriato, sans papier, straniero. Per me Mamudou è un ragazzo, un adolescente di diciannove anni che devo riuscire a convincere a smettere di fumare e che vorrei che un giorno trovasse la sua strada e ricordasse con affetto la mia famiglia.


Leggi tutta la storia di Mamudou, raccontata da Salvatore Borgese


Profilo dell'autore

Luca La Gamma

Luca La Gamma
La sua formazione giornalistica inizia a 20 anni quando avvia una serie di collaborazioni con piccole testate romane occupandosi di sport e sociale. A 25 anni diviene giornalista pubblicista e a 26 decide di partire per la Spagna, tappa fondamentale per la sua crescita personale. Laurea in Lingue e letterature moderne alla Sapienza di Roma e in Editoria e giornalismo alla Lumsa di Roma. Attualmente consulente per la comunicazione in INPS. Viaggiatore, sognatore e amante della vita in tutte le sue sfumature, si identifica in Frontiere News perché è la voce fuori dal coro che racconta quelle storie che non vengono prese in considerazione dall’élite giornalistica.

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