In Friuli vogliono costruire un’autostrada sull’ultimo fiume selvaggio d’Europa

Da anni i cittadini si battono per la conservazione di uno degli ultimi fiumi liberi d’Europa, il Tagliamento. Si tratta di un prezioso ecosistema fluviale che attira l’attenzione del mondo accademico internazionale per la sua unicità nel panorama europeo. L’amministrazione regionale vorrebbe investire risorse del Recovery fund per costruire il raccordo autostradale Cimpello-Sequals-Gemona, che secondo le associazioni e i comitati ne minaccerebbe gravemente l’ecosistema. Stefania Garlatti-Costa del Comitato ‘Assieme resistiamo contro l’Autostrada’ ci ha spiegato perché.

In Friuli-Venezia Giulia scorre uno degli ultimi fiumi selvaggi e liberi d’Europa, il Tagliamento. Dal Passo della Mauria, a 1.195 m di altitudine, fino al Golfo di Venezia tra Lignano Sabbiadoro e Bibione, il fiume scorre sinuoso su un ampio letto di ghiaia regalandoci, durante il suo viaggio, paesaggi mozzafiato che nella storia hanno ispirato artisti e scrittori.

È importante parlare di Tagliamento oggi in quanto questo sistema fluviale costituisce una risorsa inestimabile con un grado di naturalità unico in Europa. Se la maggior parte dei grandi fiumi alpini, infatti, sono stati in qualche modo deviati dall’uomo, il Tagliamento risulta l’unico fiume che conserva la sua dinamica naturale e la complessità morfologica che caratterizzava i fiumi nello scenario incontaminato del passato.

Sistemi fluviali come quello del Tagliamento assolvono a ‘compiti’ fondamentali, come fungere da vie di volo per gli uccelli migratori ed essere habitat critico per moltissime specie, sia animali che vegetali. Il fiume selvaggio è inoltre fonte di sostentamento per le comunità ed è testimone della storia, della cultura e dell’arte friulana oltre ad ospitare numerosissimi monumenti commemorativi legati alla prima guerra mondiale.

Gli studi sui ‘segreti’ del Tagliamento

Data la gravità degli straripamenti dei fiumi in Europa influenzata dai cambiamenti climatici e grazie ad una rinnovata consapevolezza sul fatto che i fiumi ‘ingabbiati’ abbiano bisogno del loro spazio vitale e debbano essere rinaturalizzati, Il Tagliamento negli anni è stato oggetto di crescente attenzione da parte del mondo accademico, soprattutto al di là del confine italiano, come modello per studiare il comportamento dei fiumi naturali. Oltre all’interesse scientifico che ha portato a numerose pubblicazioni e a un workshop annuale organizzato sul fiume dall’Università di Scienze Applicate di Erfurt, il mondo accademico in più occasioni è stato protagonista di mobilitazioni per la protezione del fiume.

“Negli anni ’90 – quando fu presentato il progetto riguardante tre casse di espansione – fu il mondo accademico, principalmente austriaco, insieme a WWF Austria, a dare impulso per una delle prime mobilitazioni contro quella che ai tempi era già vista come una minaccia all’ultimo fiume alpino non regimentato”, spiega Stefania Garlatti-Costa, presidente del comitatoAssieme Resistiamo Contro l’Autostrada(ARCA).

Anche l’arte ha avuto la sua parte nella divulgazione del fascino di questo prezioso fiume: si pensi alle sculture dell’artista viennese Herbert Steiner, create con pezzi di legno che il Tagliamento aveva trascinato con sé dalla montagna alla pianura, all’artista austriaco Herwig Turk e la sua recentissima mostra fotografica nella Kunst Haus di Vienna.

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Herwig Turk – Anamnesis of a landscape

Le minacce al fiume

Attualmente sul Tagliamento gravano due progetti che, se realizzati, impatterebbero in modo irreversibile il corso del fiume e la sua biodiversità. Il primo riguarda uno sbarramento mobile, una soluzione individuata dal Laboratorio Tagliamento istituito dalla Regione nel 2010, fortemente contrastato dalla cittadinanza locale, e non solo.

“Nella parte del medio corso questo sbarramento avrà un impatto molto forte, l’opera prevede anche un’arginatura lunga chilometri. Il vero problema è che per risolvere un problema a valle, dove il fiume è già stato snaturato costruendo case e strade a ridosso della riva, l’idea è che bisogni stravolgere il fiume a monte. Inoltre, non vi sono ancora certezze che questo tipo di soluzione sia realmente efficace, è difficile prevedere come si possa comportare il fiume”, mette in guardia Garlatti. “Il progetto dello sbarramento, inoltre, è stato fatto solo da ingeneri idraulici lasciando fuori tutta un’altra serie di expertise. Eppure la posizione di quelli che studiano ecologia fluviale è chiaramente contraria a questo progetto. Stanno trattando il Tagliamento come un canale”.

L’altra minaccia al fiume è rappresentata dal progetto in fase di studio di fattibilità, al momento fermo a causa della pandemia, di costruire una strada. In origine il progetto, proposto nei primi anni 2000, prevedeva la costruzione di una superstrada. Oggi il piano è mutato nello sviluppo di un raccordo autostradale. Proprio come risposta a questo progetto è nato il comitato ARCA, di cui Stefania Garlatti-Costa è presidente.

“Se la superstrada poteva essere venduta alla popolazione come miglior collegamento in una zona relativamente isolata, quando il progetto è mutato in autostrada l’appeal della lotta è aumentato. Eravamo una sessantina di persone che si riunivano regolarmente, abbiamo fatto una grande battaglia partendo da un lavoro di informazione e di studio delle carte. Abbiamo studiato progetto, cartelle, piano economico”.

Il comitato è nato a Folgaria nel Friuli, uno dei luoghi maggiormente colpiti dal terremoto del 1976 che causò la morte di quasi mille persone. “Io, i miei cugini e altre persone del paese abbiamo messo insieme un comitato contro quest’opera e abbiamo portato avanti un lavoro di sensibilizzazione su questo progetto per informare i cittadini degli altri paesi interessati”.

Un momento del flashmob organizzato ad agosto 2020 dalle associazioni ambientaliste

Un utilizzo alternativo dei fondi europei

“Abbiamo una grande occasione e adesso dobbiamo sfruttarla. Se non ora, quando”, aveva commentato la scorsa estate l’assessore regionale alle infrastrutture e territorio del Friuli Venezia Giulia Graziano Pizzimenti in riferimento all’utilizzo dei soldi del Recovery fund per il raddoppio dell’attuale Cimpello-Sequals e la trasformazione della tratta in autostrada (un’opera i cui costi sono stimati in circa due miliardi di euro). Legambiente Friuli Venezia-Giulia, che lo scorso agosto aveva organizzato un flashmob di protesta insieme a Fridays for future, ha lanciato delle proposte per un utilizzo alternativo delle risorse del Recovery Fund e del Piano nazionale di ripresa e resilienza per quanto riguarda il Tagliamento. Tra le altre, sono state proposte idee di interventi basati su politiche di riparazione e cura del territorio, con attenzione al dissesto idrogeologico e la riqualificazione fluviale dei bacini fortemente compromessi nell’alto bacino del Tagliamento.

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In un comunicato, Legambiente aveva ribadito l’urgenza di “abbandonare vecchie logiche, purtroppo dure a morire per progetti che si rivolgono al passato quali l’autostrada Cimpello-Gemona, la costruzione di impianti di sci a quote poco più che collinari, l’iper-sfruttamento dei fiumi o eventi pensati per grandi numeri che contaminano luoghi bellissimi ma fragili quali l’arrivo del giro d’Italia sul Monte Lussari”.

 Su change.org è stata inoltre lanciata una petizione per tutelare il fiume facendolo dichiarare Patrimonio mondiale naturale Unesco. La petizione ha ottenuto quasi 15 mila firme ricevendo anche le adesioni di Licia Colò, Mario Tozzi e Luca Mercalli.

I fiumi europei sono frammentati da mezzo milione di barriere

Nello scenario odierno europeo meno del 20% dei fiumi e delle pianure alluvionali rimangono fisicamente inalterate, il rimanente risulta frammentato e sconnesso a causa di centinaia di migliaia di barriere artificiali. Ad oggi non sappiamo precisamente quanti siano gli sbarramenti dei nostri fiumi ma, secondo un recente studio realizzato dal consorzio Adaptive management of barriers in european rivers (AMBER), in Europa si tratterebbe di oltre mezzo milione di barriere che frammentano i nostri fiumi. L’altra grande minaccia è rappresentata da un boom del settore idroelettrico. Secondo un recente studio, soltanto in Europa si contano 30.172 impianti di cui 21.387 già esistenti, 8.507 pianificati e 278 in costruzione. Nonostante le dighe idroelettriche siano a tutti gli effetti una fonte di energia che permetta di abbassare notevolmente l’emissione di gas serra, quelle “mini”, la tipologia più diffusa in Europa, esercitano un’enorme pressione sulla biodiversità che caratterizza i sistemi acquatici, soprattutto considerando che nel 21% dei casi queste dighe vengono progettate e costruite in aree protette.

A livello globale, sulla base dei dati disponibili, sappiamo che quasi Il 90% delle zone umide globali è andato perso salendo così in cima della classifica degli ecosistemi più minacciati nel mondo. Inevitabilmente, anche la biodiversità delle acque dolci sta diminuendo in modo drastico: come dimostrato dal più recente Living Planet Index pubblicato nel 2020 dal WWF, le specie d’acqua dolce sono le più minacciate al mondo con una riduzione dell’83% solo negli ultimi 50 anni.

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Perché difendere i fiumi

Sembra estremamente inutile e scontato dire che l’acqua dolce è essenziale per la sopravvivenza della Madre Terra con tutti i suoi esseri viventi, eppure non lo è: i nostri fiumi continuano a morire. È ormai parere comune che un fiume selvaggio che allaga occasionalmente le sue sponde naturali e svolge il compito fondamentale di nutrire l’habitat della pianura alluvionale è più sicuro di un fiume canalizzato privato del suo spazio vitale.

“Il Tagliamento non è nostro”, ribadisce Garlatti. “Dobbiamo fare in modo che arrivi ai nostri figli e nipoti come è arrivato a noi. Quando mi sono allontanata dall’Italia, ogni volta che sono tornata ho cominciato a guardarlo e rendermi conto di quanto fosse bello e prezioso. Ogni volta mi sembrava di essere nelle foto di Ansel Adams”.


Profilo dell'autore

Ilaria Cagnacci
Ilaria Cagnacci
Appassionata di Balcani, sono attivista per i diritti umani con Amnesty International e seguo i movimenti dal basso. Dopo essermi laureata in Relazioni Internazionali e Cooperazione allo Sviluppo a Perugia, mi sono specializzata in Democrazia e Diritti Umani nel Sud Est Europa a Sarajevo. Credo fermamente nella possibilità e nella necessità di immaginare e realizzare un sistema diverso da quello attuale che ha generato una ricchezza enorme per pochi a discapito dei molti e a danno del pianeta. Su questa linea, mi sono interessata alle lotte per il bene comune, o commons, per il potere trasformativo che queste lotte possono avere, non solo nel rimodellare la nostra relazione con la natura, ma anche all'interno delle comunità stesse innescando nuove forme alternative di cooperazione e solidarietà. Attualmente mi occupo principalmente di tematiche legate all’ambiente, ed in particolare ai conflitti ambientali nei Balcani, perché un ambiente salubre è parte integrante e fondamentale per il pieno godimento dei diritti umani. Sono convinta che tutti gli esseri viventi sulla terra debbano avere gli stessi diritti e le stesse possibilità per difenderli, per questo motivo mi definisco anche un'attivista per i diritti della natura.

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