A poche settimane dall’elezione del nuovo presidente della Repubblica, in Italia la sotto-rappresentazione delle donne nelle istituzioni mette in luce il grande divario di genere che ancora esiste nella nostra società. Le cause che contribuiscono al fenomeno sono molteplici: assenza di modelli femminili a cui aspirare, stereotipi, un modello di società patriarcale e violenza psicologica nei confronti delle donne che cercano di emergere. A Napoli arriva la terza edizione di “Prime Minister”, una scuola per giovani donne in politica. Un percorso fatto di incontri, riflessioni, attivismo e partecipazione che cerca di liberare le giovani ragazze dai condizionamenti esterni che ne limitano le scelte di vita per poter puntare più in alto, finanche ad alte cariche politiche o istituzionali.
Il 29 luglio del 1976 Tina Anselmi venne nominata ministra del Lavoro e della Previdenza Sociale nel governo Andreotti III: per la prima volta nella storia della nostra Repubblica una donna ricopriva una carica nel governo. Oggi, a 45 anni da quello storico momento, il nostro Paese è penultimo in Europa come tasso di occupazione femminile a tempo pieno; nel 2020 l’indice italiano sull’uguaglianza di genere era pari a 63,5 su 100 con un punteggio inferiore alla media dell’UE, di 4,4.
La presenza di donne negli organi costituzionali italiani continua a rimanere molto limitata e, a livello mondiale, secondo l’analisi annuale diffusa nel 2020 del World Economic Forum sul Global Gender Gap, l’Italia si colloca al 76° posto su 153 Paesi.
La sottorappresentanza femminile costituisce un problema strutturale e culturale grave che si trascina da decenni e che si evidenzia ancor più nella manifesta assenza delle donne in politica. In questo ambito, infatti, non ci si è ancora dotati di un serio programma d’azione che dia rappresentanza pubblica a chi storicamente nell’ordine sociale patriarcale continua ad essere vittima di violenza istituzionale e maschile.
L’alleanza storica del maschile con la violenza e l’oppressione in generale, come dice lo studioso italiano Giuseppe Burgio, può essere contrastata soltanto a partire da una seria rivendicazione del diritto di autodeterminazione delle donne sulle proprie vite. Da questo assunto quattro giovani donne hanno deciso di fondare la scuola di politica “Prime Minister” rivolta a ragazze di età compresa fra 14 e 18 anni che vogliano intraprendere un percorso di formazione alla politica, intesa come più ampia capacità di interpretare e guidare la società all‘attivazione civica.
Ormai alla sua terza edizione a Napoli, la scuola è già stata lanciata a Favara, in Sicilia nel 2018, poi a Napoli nel 2019 e nel 2021 sono partite altre 4 scuole: Roma, Rieti, Matera e Bari. Le giovani partecipanti saranno coinvolte in un percorso formativo della durata di dieci mesi durante il quale incontreranno testimonial, donne e uomini che in diversi campi rappresentano modelli di leadership, con i quali dibatteranno su tematiche legate alla sostenibilità, all’empowerment femminile e che si attiveranno nella realizzazione di propri progetti di cittadinanza attiva.
“La scuola prende il nome da una sfida ambiziosa nel nostro Paese: avere una prima ministra donna. Ognuna di noi viene da ambiti molto diversi ma trasversalmente siamo colpite da una scarsa rappresentanza femminile. La scuola nasce per offrire un percorso che aiuta le ragazze a riflettere su diverse tematiche, non solo inerenti alla politica, ma al tema del femminile e al forte gap generazionale presente nel nostro Paese. Questo percorso serve a guardarsi intorno e capire gli stereotipi che influenzano le nostre scelte”, dice Angela Laurenza, una delle fondatrici della scuola.
Tra le richieste più urgenti delle giovani ragazze sicuramente una maggiore presenza femminile nelle sedi della pubblica rappresentanza “per uno sguardo più inclusivo nella nostra società e per l’attuazione di politiche orientate verso alle donne a cui vengono ancora associati i ruoli tradizionali di mogli e madri, categoria tra l’altro più penalizzata anche durante la pandemia”.
E proprio il Covid-19 ha di nuovo evidenziato la mancanza di donne in ruoli decisionali e di leadership in tutti i settori: abbiamo visto e ascoltato quasi soltanto esperti uomini sui nostri televisori, radio e cellulari, parimenti uomini erano gli accademici e gli scienziati che hanno consigliato i nostri governi così come i capi di stato e i ministri che hanno preso decisioni su misure e priorità nella lotta al virus.
Con la legge Golfo-Mosca del 2011 e l’introduzione delle cosiddette “quote rosa” la presenza delle donne è aumentata negli anni ma siamo ancora lontani da un profondo cambiamento del nostro sistema economico e politico, con una quota femminile che si riduce in modo drastico in misura inversamente proporzionale alla responsabilità assunta. “Il sistema delle quote rosa deve essere di natura transitoria, questo serve solo a pareggiare inizialmente un numero -sottolinea Laurenza– è utile però in termini ispirazionali perché avere donne che ricoprono determinate cariche fa sì che le giovani ragazze vedano il raggiungimento di determinate posizioni come un qualcosa di possibile. In termini politici l’equità numerica rischia di rimanere sterile se non si applica una leadership non solo femminile ma femminista”.
Ed è proprio questo il punto: se oggi le giovani ragazze italiane si guardano intorno, le figure politiche di rilievo sono poche e nella loro esiguità spicca certamente una nota leader politica contraria ai matrimoni omosessuali, alla morte assistita, all’aborto, alla maternità surrogata, all’adozione per single e coppie gay. Non è infatti certamente sufficiente che una donna arrivi al potere, ma è necessario che sappia rivendicare una leadership diversa volta a scardinare disuguaglianze e discriminazioni per una politica della cura.
Non una politica fatta da donne per le donne ma un nuovo approccio che sia in grado di mettere in primo piano le comunità tradizionalmente emarginate, di modificare strutture di potere asimmetriche, discriminazione, razzismo e sessismo per difendere l’uguaglianza dei diritti e delle persone.
“La sovrastruttura si fonda con l’educazione che riceviamo a partire dall’ambito familiare, bisogna liberarsi da questi condizionamenti affinché le ragazze possano scegliere liberamente chi essere e chi diventare. Si tratta di un lavoro che le ragazze devono fare innanzitutto su loro stesse, e l’educazione su questo può far tanto.”
Nell’ambito educativo svolge un ruolo fondamentale il linguaggio che secondo Laurenza “bisogna rendere più inclusivo a partire dalla declinazione al femminile delle varie professioni, perché se non esiste l’ingegnera allora le ragazze non sapranno che quella è una professione possibile anche per le donne. Il fatto che molte donne in posizioni di potere preferiscano una declinazione al maschile perché pensano che questo sia un valore aggiunto trasmette un messaggio sbagliato, siamo noi che diamo un valore aggiunto con il nostro lavoro e non la declinazione.”
Nilde Lotti già nel 1990 propose di eleggere Presidente della Repubblica una autorevole figura femminile, ma come allora ancora oggi un’iniziativa del genere non sarebbe accettata da molti in quanto significherebbe perdere una posizione di privilegio.
Le giovani donne italiane, nel frattempo, sono cambiate: l’alleanza femminile si è estesa a livello mondiale e tante iniziative dal basso come quella di Prime Minister continueranno a liberarle sempre più dalle innumerevoli limitazioni che le ingabbiano; la parità di genere non è una questione che riguarda solo loro ma significa liberarci da un pensiero che porta costantemente a identificare il diverso come “altro da sé” e quindi a giudicarlo e molto spesso discriminarlo.
Profilo dell'autore
- Appassionata di Balcani, sono attivista per i diritti umani con Amnesty International e seguo i movimenti dal basso. Dopo essermi laureata in Relazioni Internazionali e Cooperazione allo Sviluppo a Perugia, mi sono specializzata in Democrazia e Diritti Umani nel Sud Est Europa a Sarajevo. Credo fermamente nella possibilità e nella necessità di immaginare e realizzare un sistema diverso da quello attuale che ha generato una ricchezza enorme per pochi a discapito dei molti e a danno del pianeta. Su questa linea, mi sono interessata alle lotte per il bene comune, o commons, per il potere trasformativo che queste lotte possono avere, non solo nel rimodellare la nostra relazione con la natura, ma anche all'interno delle comunità stesse innescando nuove forme alternative di cooperazione e solidarietà. Attualmente mi occupo principalmente di tematiche legate all’ambiente, ed in particolare ai conflitti ambientali nei Balcani, perché un ambiente salubre è parte integrante e fondamentale per il pieno godimento dei diritti umani. Sono convinta che tutti gli esseri viventi sulla terra debbano avere gli stessi diritti e le stesse possibilità per difenderli, per questo motivo mi definisco anche un'attivista per i diritti della natura.
Dello stesso autore
- Universali10 Luglio 2021Una possibile rivoluzione “ecocentrica” nel diritto internazionale?
- Italia13 Giugno 2021In Friuli vogliono costruire un’autostrada sull’ultimo fiume selvaggio d’Europa
- Europa25 Aprile 2021Canarie, un arcipelago-prigione lungo la rotta più pericolosa d’Europa
- Universali21 Marzo 2021Perché l’ecocidio dev’essere considerato un crimine internazionale