Il borgo calabrese di Mongrassano è un esempio di come le comunità profughe albanesi, in fuga dalla dominazione turca del XIV secolo, si siano perfettamente integrate nelle comunità ospitanti. Il loro prezioso patrimonio linguistico e culturale è arrivato fino ai giorni nostri ma oggi rischia di scomparire, anche per colpa della politica.
Testo di Ludovica Iaccino. Fotografie di Grazia Posteraro
Della mia bisnonna Mamà ricorderò sempre tre cose: il sorriso, la voce calma e i ricami d’oro sul suo jippuni, un bolerino marrone che indossava tutti i giorni insieme alla suttana, una gonna ampia dello stesso colore. L’abito che usava quotidianamente, così come il suo cognome, Bellusci – entrambi ereditati da mia madre – erano segni tangibili dell’identità di un popolo che oltre 600 anni fa fu oppresso e costretto alla fuga.
Mamà era nata a Mongrassano, paese natio di tutta la mia famiglia. Nel XIV secolo, questo piccolo borgo calabrese fu ripopolato da comunità profughe albanesi scappate in seguito all’invasione dell’Albania da parte dell’esercito turco. Conosciuti oggi come gli “albanesi di Italia”, la minoranza etnico-linguistica degli arbëreshë ha tramandato lingua, cultura e tradizioni per via orale nel corso dei secoli riuscendo, allo stesso tempo, a integrarsi nelle comunità ospitanti del sud Italia, influenzandole fortemente.
Mongrassano ne è un esempio lampante: nonostante agli arbëreshë rifugiatisi qui fu presto impedito l’utilizzo della propria lingua e del rito greco-bizantino, il nostro dialetto è ricco di vocaboli arbëreshë. Tra questi c’è la parola kroi, che significa “fontana” e che dà il nome a tutte le fontane del paese, inclusa Kroipette, dove ho trascorso intere estati a giocare insieme alle mie amiche d’infanzia.
Anche i nomi delle strade e dei quartieri ci parlano di un mondo vecchio di secoli e, passeggiando per i vicoli del paese, si può ancora trovare la ghitonia, il vicinato, dove le case affacciano su una piazzetta centrale usata in passato per socializzare.
Le tradizioni secolari tornano a vivere soprattutto durante le feste; è in queste occasioni che cibo, canti e balli trasudano una storia antichissima. La festa più simbolica di questa preziosa eredità è forse il Carnevale, quando riviviamo l’antica tradizione arbëreshë delle vallje. Durante questo evento coreutico-canoro, quasi ogni famiglia di Mongrassano apre gli armadi dove sono gelosamente custoditi gli antichi abiti arbëreshë: vestiti dai colori sgargianti – alcuni risalgono anche al 1800 – che le donne si tramandano da generazioni. Una volta indossati questi abiti, attraversiamo il paese danzando e intonando antiche canzoni. Alcune celebrano le imprese dell’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Skanderbeg, un principe e condottiero che si era ribellato all’invasione turca. La sua morte nel 1468 segnò l’inizio dell’esodo albanese. Altre canzoni sono un inno all’amore, come “Mole mole”, che è diventata la canzone celebrativa per eccellenza a Mongrassano, spesso intonata per commemorare eventi in famiglia e nella comunità ma anche durante occasioni ufficiali.
Katund Arbëreshë
Mongrassano ospita la Mostra permanente delle Tradizioni e Cultura Arbëreshe, nello storico palazzo Miceli. Negli anni, le istituzioni e le associazioni culturali hanno organizzato innumerevoli eventi volti a celebrare la tradizione arbëreshe. Tuttavia, questo immenso patrimonio linguistico e culturale oggi rischia di scomparire.
Sia a Mongrassano che nelle comunità dove ancora oggi si parla arbëreshë sono ormai poche le donne che – come faceva mamà – indossano gli abiti tradizionali giornalieri. E sono ancora meno le donne che scelgono di sposarsi con l’abito tradizionale del matrimonio, utilizzato oggi solo per occasioni commemorative. Inoltre, con il ricambio generazionale – e in seguito alla pandemia da Covid-19 – le attività che onorano la cultura arbëreshë hanno visto una battuta di arresto.
“Stiamo attraversando un periodo di crisi, soprattutto qui a Mongrassano, dove c’è una sorta di vergogna tra gli arbëreshë nel definirsi tali”, spiega Grazia Posteraro, fotografa e cittadina arbëreshë di Mongrassano. Con il suo progetto fotografico “Katund Arbëreshë” (Paese arbëreshë) vuole celebrare la resilienza di una comunità che ha lottato per mantenere viva la propria identità.
“Le persone della mia generazione ormai vedono eventi come le vallje come un pretesto per divertirsi e c’è un distacco nei confronti di quello che è la tradizione. Essere arbëreshë, per me, è motivo di orgoglio e mi ha aiutato ad avere una mentalità più aperta verso la diversità: crescendo, facevo spesso il paragone con i paesi limitrofi non arbëreshë e mi rendevo conto che abbiamo tanta storia”, continua Posteraro.
“Vorrei far riaffiorare tra i mongrassanesi questo orgoglio di essere arbëreshë ed educare – attraverso le fotografie – alla bellezza di quello che è il nostro abito e la nostra tradizione. Una tradizione che va avanti da oltre 500 anni e che non può morire”.
Un patrimonio che rischia di scomparire
Nel 1958, a Mongrassano è stato fondato il gruppo folcloristico Dielli, che per anni ha organizzato, insieme all’Associazione culturale e ricreativa A. Staffa, eventi volti a celebrare la tradizione arbëreshë. Queste occasioni, una volta molto partecipate, sono oggi meno sentite.
“Secondo alcuni studiosi, Mongrassano anticipa quello che verrà in futuro nelle altre comunità arbëreshë, dove si sta perdendo l’uso della lingua anche tra le comunità parlanti”, spiega Francesco Posteraro, uno dei partecipanti più attivi del gruppo folcloristico.
“La famiglia è l’elemento principale che ha mantenuto la lingua nel tempo ma, oggi, i genitori non parlano più ai propri figli in arbëreshë e di conseguenza non si parla nemmeno fuori, tra amici e conoscenti”, continua Posteraro che, per anni, ha studiato le tradizioni e le canzoni arbëreshë per coglierne il significato.
“Io spero che quello che è successo a Mongrassano si possa evitare negli altri paesi. È tutto racchiuso in come le nuove generazioni vedono il mondo esterno. Le istituzioni hanno la responsabilità di affrontare questo problema, non devono disinteressarsi”.
Secondo Oscar Stancati, Consigliere con delega alla cultura e alle minoranze linguistiche del comune di Mongrassano, le iniziative per far conoscere il mondo arbëreshë sono molteplici, ma spesso bloccate a causa della mancanza di fondi. Per questo, i sindaci dei paesi arbëreshë, tra cui Mongrassano, hanno recentemente chiesto alla regione Calabria più fondi per le proprie attività.
“Riteniamo che la legge 13, alla quale spesso attingiamo per i nostri progetti, abbia dei fondi limitatissimi, ed è difficile realizzare progetti”, spiega Stancati.
“È anche difficile coinvolgere i pochi giovani che sono rimasti. Nel corso degli anni c’è stato uno sfilacciamento ma noi cerchiamo, in ogni manifestazione, di fare capire che è importante che i giovani ci stiano vicino e che si rendano anche protagonisti di quello che è il loro passato e che dovrà essere il loro futuro”.
Nonostante le limitazioni, il comune di Mongrassano ha implementato vari progetti per continuare a mantenere accesi i riflettori sulla questione arbëreshë. Le iniziative includono la realizzazione, in collaborazione con il paese di Santa Sofia, di un libro di favole per bambini in arbëreshë e in italiano e il progetto “Land of the Wind”, che vedrà la creazione di murales all’interno del borgo.
Il comune ha inoltre partecipato alla creazione di una guida turistica, “Borghi di Arberia”, con una sezione dedicata a Mongrassano, e realizzerà nuove tabelle segnaletiche in doppia lingua e un altro libro di favole e poesie.
“Noi continueremo a portare all’attenzione delle istituzioni come il Coremil [Comitato Regionale delle Minoranze Linguistiche, ndr] il fatto che i paesi arbëreshë e le minoranze arbëreshë possono essere una risorsa importante per tutto il territorio”, conclude Stancati.
Profilo dell'autore
- Per diversi anni Ludovica Iaccino ha lavorato come redattrice per le testate inglesi IBTimes UK e Newsweek UK e – attualmente – per l'ong World Vision. Si occupa di diritti umani, migrazione e sviluppo internazionale e scrive per varie testate (tra cui Nigrizia, Frontiere News, Words in the Bucket e JusticeInfo). Nel 2011 ha pubblicato con Alcyone "Il silenzio di Nyamata", un romanzo storico sul genocidio del Ruanda, e nel 2021 "Datemi libri" (Edizioni ensemble), in cui raccoglie interviste e incontri - principalmente con bambini e bambine - avvenuti nell’arco di cinque anni da inviata speciale.