Vite di confine nei versi di Gentiana Minga

Novembre 2017, un freddo treno-merci viaggia verso il Brennero portando con sé la vita del piccolo Anthony, diretto chissà dove, attraverso l’inverno, in compagnia di una borsa abbandonata. Il treno però si ferma prima del confine e la storia di Anthony apre la strada a molteplici possibilità di confronto e riflessione. Gentiana Minga, autrice e traduttrice di origine albanese, raccoglie l’esperienza di Anthony per iniziare un viaggio personale alla scoperta della faticosa contraddizione di chi vive situazioni al limite, di chi attraversa confini e si muove attraverso luoghi sconosciuti.

Tu venivi appeso ad un treno, merce da innevati confini!
Oh, Anthony, piccolo Anthony, sei tra i salvati!
Cristallo dell’alba novembrina e pistillo di papavero,
sei tra i salvati!

In Tempi che sono..Zeiten wie…Kohē që janë la poetessa dialoga con Anthony spostando l’attenzione da un piano individuale ad uno collettivo. Racconta di vite di confine che si incrociano lungo percorsi immaginari, vite talvolta immobilizzate dall’attesa di chi non compie “nessun passo avanti. Nessuno indietro”. Molteplici immagini di luoghi, paesaggi, e popoli si susseguono rapidamente, dando forma ad una raccolta ricca di suggestioni e capace di mettere in connessione vite lontane tra loro. La raccolta, pubblicata per Terra d’ulivi edizioni (Collana I GRANATI 31), si articola così su tre livelli attraversando mondi reali, vissuti, e mondi immaginari ma realmente esistiti, in un tempo e in uno spazio lontano, sedimentati in una memoria collettiva che permette di allargare lo sguardo e comprendere nella propria esperienza vite già vissute.

Tempi che sono..Zeiten wie…Kohē që janë è composta da quattro sezioni: “Ad Anthony”, con testo a fronte in albanese; “Assaggio. Il cammino degli autoctoni”, con testo a fronte in tedesco; “L’eco del pargolo”, con testo a fronte in albanese; “Tempi che sono..”, con traduzione in tedesco.

“Uno”, “Due”, “Tre” si susseguono rapide e incalzanti trascinando il lettore in una realtà di confine fatta di titubanze, fragilità e speranze. Qui Il tempo scorre inesorabile come sugli orologi di chi, in fuga per qualche ragione, si muove in uno spazio ignoto, sconosciuto e freddo. L’idea dello spostamento, che sia per terra o per mare, è una delle immagini che più si riproduce in questa prima sezione, la quale, colorandosi continuamente di sfumature diverse, offre l’opportunità di riflettere sulla possibilità di rinascita inclusa nell’idea del movimento. Tutto si (ri)genera nella relazione con l’altro e centro della percezione è il corpo. Esso muta con il mutare del luogo, si smembra e si ricompone ogni volta con una rinnovata energia alimentata dal desiderio di sopravvivenza. Nelle parole di Minga si fondono vite e corpi, accomunati da una solitudine disarmante che talvolta rischia di far sprofondare nell’abisso. L’io che attraversa una frontiera si abbandona all’ignoto, vive simultaneamente in più mondi nello sforzo di ridefinire sé stesso. La lingua, “confusa e turbata”, subisce il trauma del cambiamento ma allo stesso tempo rappresenta un ponte capace di costruire alleanze.

Il plurilinguismo rappresenta un tratto caratteristico della raccolta. La presenza di traduzioni in albanese, lingua madre dell’autrice, e tedesco, grazie al contributo di Werner Menapace e Illir Ferra, permettono di ampliare le possibilità di rappresentazione che la parola offre e allo stesso tempo catapulta il lettore in una dimensione interiore articolata dove le parole incrociano i pensieri per dare forma ad un testo che contamina esperienze culturali. I testi sono infatti ricchi di metafore complesse che attraversano luoghi e offrono ai lettori la possibilità sia di tessere relazioni nuove che di rievocare antichi rapporti. L’uso del verso libero concede di muoversi tra le lingue permettendo di mescolare linguaggio naturale e poetico a vantaggio di uno uso artistico e evocativo di immagini e suoni. La presenza simultanea di varie lingue, e di conseguenza di varie culture, riflette l’esperienza della quotidianità ampliando lo spettro dei significati non sempre traducibili da una lingua all’altra. L’esperienza autentica prende corpo in una data lingua con tutte le sue implicazioni e le varie esperienze sono percepibili – senza perdita – soltanto nel loro insieme originale. Linguaggio iperbolico, ritmo cantilenato e divagazioni sono gli strumenti attraverso cui Minga esprime potenti emozioni e fonde piani culturali e di significato talvolta lontani tra loro nel tentativo di conciliare e mediare la comunicazione tra le diverse lingue.

In “Assaggio. Il cammino degli autoctoni” Minga riflette sul senso di cupezza e straniamento dato dal vivere in una terra straniera, confessione che affida all’amica Renata attraverso la quale introduce uno dei temi più ricorrenti della terza sezione della raccolta: l’infanzia e la terra abbandonata. “A Renata” comunica con forza e chiarezza il sentimento di chi sarà sempre un non-autoctono, le cui radici affondano in una terra lontana e adesso saltano fuori dal terreno e si irrigidiscono a contatto con il freddo. Non c’è consolazione, solo un senso di inadeguatezza e il ricordo di una vita abbandonata al confine.

“L’eco del pargolo” raccoglie l’eredità della sezione precedente e immagini e luoghi di vita irrompono nella narrazione. Il verseggiare diventa ampio e incalzante, si susseguono ricordi più o meno vividi che si agganciano alla verità. Il tempo diventa sfumato e i luoghi evanescenti, spazi della coscienza dove l’identità si muove e cerca di definirsi. La ricerca è fugace e ogni cosa intorno sembra rappresentare un appiglio per ripartire e ricostruire lasciando, tuttavia, posto ad un’amara consapevolezza che nemmeno il futuro sarà da rifugio.

In cerca del filo perduto mi aiuto
seguendo il rito degli occhi sulla rotaia bianca, sui corrimani ferrei,
azzurrini.
[…] della mia mente, di volta in volta,
un pezzo mi abbandona
e va con altri. Si infilano nelle storie
in cui non potevamo esserci e niente sapere.
[…] Basterebbe un attimo che mi accorgessi,
lo stimolo legittimo di raccogliermi,
che tutto ciò, remoto o futuro che sia,
svanisca.

L’esperienza del ricordo è dolorosa ma inevitabile, momento necessario per uscire dalla caverna dell’inganno e spogliarsi dei pregiudizi che tengono l’identità al sicuro. Nell’ultima sezione della raccolta, “Tempi che sono..”, la riflessione intima e personale si intreccia ad un piano più universale, dove le storie e le vite incontrate si fondono all’esperienza del singolo. Il percorso di conoscenza passa necessariamente attraverso l’incontro di sé nell’altro, nel conflitto e nell’incomprensione, nell’entusiasmo e nella paura, nel noto e nell’ignoto. Partire e navigare attraverso popoli e tempi, memorie ed esperienze per potersi risvegliare prima dello scadere.

In verità nessuno può comprendere la sorte
che il prossimo va incontro ai semi di fuoco
e ai semi alati e naviganti,
perché dai prati immensi e mari,
da isole e terreferme,
nessuno e niente sa di essere mai stato
tutto quello che è nato,
e tutto quello che è morto.


Recensione di Claudia Nastasi, pubblicata originariamente su La Macchina Sognante


Profilo dell'autore

Claudia Nastasi
Claudia Nastasi
ha studiato Letterature moderne, comparate e postcoloniali all’Università di Bologna dove ha conseguito la laurea nel 2020. La passione per la letteratura la accompagna nel suo percorso alla scoperta di diverse culture e della vita stessa. Tra i suoi interessi spicca quello per le lingue, mezzo che le permette di entrare in comunicazione profonda con diverse realtà. Ama il blu del mare e l’aria fresca della montagna, passeggiare ovunque ascoltando il mondo intorno a sé. Nell’ultimo anno ha svolto attività di insegnamento, avventura che ha acceso il suo interesse per il mondo della scuola in un’ottica di rinnovamento.
Dello stesso autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Potresti apprezzare anche

No widgets found. Go to Widget page and add the widget in Offcanvas Sidebar Widget Area.