Raccontare le storie delle donne rifugiate per cambiare la loro situazione

Testo e foto di Susanna D’Aliesio

Gli esodi provocati da guerre e persecuzioni hanno raggiunto il picco più alto nella storia dell’umanità, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite (UNHCR) sono 60 milioni i rifugiati nel mondo. Questa diaspora forma il 24° stato più popoloso del mondo. Uno stato invisibile. Oggi osserviamo impotenti le conseguenze di questa crisi umanitaria che sembra essere senza fine e si barcolla, sempre di più, sull’ondata di xenofobia che sta travolgendo l’Europa.

Oggi più che mai c’è bisogno di aprire un dialogo con il mondo musulmano per svuotare di senso i luoghi comuni costruiti sulla paura. Il Libano fa da cuscino tra Siria ed Israele, dopo la guerra arabo-israeliana del ’48 vi si sono riversati 450.000 profughi palestinesi e 1.2 milioni di siriani dall’inizio del conflitto, nel 2011. In Libano il numero dei rifugiati raggiunge il 25% della popolazione totale. E’ arduo per un occidentale immaginare cosa significa sopravvivere in un paese in guerra, in cui intere famiglie vengono mutilate dal conflitto, storie interrotte, vite svuotate. Le persone che continuano a riversarsi in Libano prima di essere profughi conducevano una vita più o meno come la nostra. Con una casa, una famiglia, un lavoro, dei bambini. Poi un giorno, sei costretto a scegliere tra la vita e la morte, ad abbandonare tutto per sopravvivere, scuola, lavoro, casa. Molti hanno scelto di mettersi in viaggio verso il Libano.

Vita da rifugiati
In Libano la vita per un rifugiato è dura: il governo libanese non concede i diritti di cittadinanza né ai rifugiati siriani né a quelli palestinesi. Questo si traduce in enormi limiti di accesso alla sanità pubblica e all’ istruzione. La disoccupazione è un’altra piaga enorme, sono oltre 70 le professioni a cui è interdetto l’accesso e il lavoro nero è spesso l’unica risorsa per sopravvivere. Gli aiuti provenienti dalle organizzazioni umanitarie internazionali non sono sufficienti e i bambini, derubati della loro infanzia, divengono una risorsa per l’economia familiare. All’interno dei campi la mancanza di acqua pulita, gli alti tassi di violenza nei confronti di donne e bambini e il sovraffollamento sono i problemi più gravi. Ad esempio il campo di Shatila, costruito inizialmente per accogliere 3.000 persone, adesso ne ospita oltre 15.000. Secondo un report di Global Fund for Women gli abitanti dei campi sono in costante pericolo a causa di cavi elettrici esposti e vengono sottoposti alla minaccia quotidiana del governo che si rifiuta di fornire energia elettrica ai campi e questo contribuisce ulteriormente alla stigmatizzazione dei rifugiati.

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Essere rifugiata ed essere donna
I soggetti più colpiti sono i più deboli, donne e bambini, la violenza contro di essi assume molte forme: matrimoni precoci, molestie e stupri all’interno dei campi. Sono purtroppo frequenti le storie di bambine dall’infanzia rubata, date in sposa in giovanissima età in quanto il matrimonio è visto come unica speranza di sopravvivenza. Secondo uno studio dell’Università di Saint- Joseph di Beirut il 23% delle siriane rifugiate in Libano si sposa prima dei 18 anni. Ad inasprire queste dinamiche si aggiungono la mancanza di accesso a metodi contraccettivi e di assistenza sanitaria materna. Questo si traduce in elevati tassi di natalità all’interno dei campi ma anche di alti tassi di mortalità infantile e di handicap. Se parliamo solamente del numero di rifugiati siriani, il 75% sono donne e bambini, secondo l’ UNHCR, e 716.492 sono in età riproduttiva, secondo un rapporto del 2014 sulla crisi siriana della United Nations Popolations Fund (UNFPA).

Una fotografia può cambiare delle vite. Nasce “Diaspora”
Ho deciso di non essere più uno spettatore passivo e di agire per fermare una tragedia che riguarda ognuno di noi. Così è nato “Diaspora – Being a refugee woman in Lebanon”, un progetto fotografico con lo scopo di contribuire a cambiare la condizione delle donne rifugiate in Libano. Alla fine di febbraio inizierò un viaggio, in compagnia della mia fotocamera, tra Beirut, Tripoli e Sidone, per mostrare cosa significa essere una donna rifugiata. Lavorerò sul campo per venti giorni e dovrò fare i conti con significativi problemi di sicurezza, per questo mi affiderò all’esperienza di diverse organizzazioni umanitarie che lavorano sul posto. La fotografia è uno strumento molto potente, in grado di cambiare delle vite, per questo al termine del lavoro organizzerò una mostra fotografica che farà il giro del mondo. La mostra sarà sia online che live, di modo che tutti possano beneficiarne. Ho deciso di finanziare questo progetto tramite il crowdfunding perché siete voi lettori a scegliere se un progetto debba essere portato avanti o meno. Sulla piattaforma che ho scelto, Go Fund Me, è spiegato nel dettaglio come ho intenzione di impiegare i soldi che mi verranno donati. Il mio obiettivo è raggiungere 4000 euro (che comprenderanno le spese logistiche e i costi di gestione della mostra). Se avrò la fortuna di superare il mio obiettivo donerò la cifra, qualunque essa sia, al Women’s Health Care di Beirut di Medici Senza Frontiere e ad altre ONG che lavorano con le donne che hanno scelto il Libano come rifugio, con il vostro aiuto daremo loro l’opportunità di un futuro migliore.

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Portfolio di Susanna D’Aliesio: http://daliesios.wix.com/simulacra


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