I sacchi di iuta testimoni delle sofferenze del Ghana

di Lotte Løvholm*

La colorata e turistica Nyhavn di Copenhagen si trasformerà a breve in un quartiere polveroso: tanti sacchi di iuta drappeggiati per un’estensione totale di 12 x 120 metri copriranno la facciata del porto di Charlottenborg. Si tratta dell’opera Nyhavn’s Kpalang dell’artista ghanese Ibrahim Mahama, nell’ambito della mostra An Age of Our Own Making, che coinvolge 28 artisti da tutto il mondo.

“Non posso parlare del mio lavoro senza menzionare i miei collaboratori, che sono i migranti del nord e dell’est del Ghana venuti in città a lucidare le scarpe. Il lavoro è durato due anni e in parte è inedito, in parte viene dal mio lavoro precedente a Holbæk “An Age of Our Own Making” e un’altra parte è stata mostrata alla Biennale di Venezia dello scorso anno. A Venezia ho lavorato con gli studenti dell’Accademia d’arte e qui ho lavorato con quelli di Produktionsskolen Holbæk. “Kpalang” è una parola dagbani e significa sacco, ma può anche significare carne o corpo. Nel mio lavoro sono interessato al dialogo tra l’architettura del luogo e la “pelle” dei sacchi e come i diversi siti di produzione si espandono su questo linguaggio.

Ibrahim Mahama: Out of Bounds, 56th Venice Biennale, 2015. Foto: Ibrahim Mahama.
Ibrahim Mahama: Out of Bounds, 56th Venice Biennale, 2015. Foto: Ibrahim Mahama.

Ci puoi spiegare che tipo di funzione sacchi hanno in Ghana?

Sono sacchi di iuta utilizzati per il trasporto di prodotti alimentari e merci, soprattutto cacao. Sono prodotti nel sud-est asiatico con una quantità incredibile di lavoro. Sono stato prima di tutto attratto da questo materiale perché “comune”: in Ghana quasi ogni casa ne ha. Ha molteplici usi. Quando si prende un autobus in una giornata piovosa ed è necessario togliere il fango dai piedi c’è un sacco di iuta. Se c’è un incendio si può spegnere con un sacco di iuta bagnato. Sono stato attratto prima dalla sua funzionalità e più tardi anche per la sua estetica, quando viene utilizzato per il trasporto di carbone. Potete trovare diversi tipi di estetica all’interno della superficie di tessuto dei sacchi: alcune aree sono bianche e ciò significa che sono stati fuori per 6-7 mesi. L’estetica dei sacchi si acquisisce nel corso del tempo, grazie ai suoi vari proprietari. Sono interessato a come la crisi e il fallimento sono assorbiti in questo materiale, c’è un forte riferimento alle transazioni globali e a come funzionano le strutture capitaliste.

Oltre ai diversi colori dei sacchi, ci sono anche scritte diverse su di essi. Che cosa significano?

Alcune delle scritte sono testi originali dalla cooperativa “Ghana Cocoa Board” che commissiona i sacchi. Altre parti sono molto più significative, in grassetto e tracciate in modo spontaneo. Sono scritte dai vari “collaboratori” invisibili dai quali ho ereditano i materiali: acquisto sacchi nuovi e li scambio con quelli vecchi. A causa della crisi politica ed economica che persiste da qualche tempo in Ghana, le persone hanno sviluppato la cultura dello scrivere sui loro corpi parte della loro storia, il loro nome o i nomi dei loro genitori. Nel caso in cui dovesse succedere loro qualcosa, possono essere ricondotte ai loro parenti. Alcuni di essi tendono a trasferire questi scritti sui sacchi ed è la scrittura che si vede. Mi sono interessato a come la condizione del corpo abbia acquisito corrispondenza con quella di questo materiale semplice.

Ibrahim Mahama: Nyhavn's Kpalang, 2012-2016. Foto: Ibrahim Mahama.
Ibrahim Mahama: Nyhavn’s Kpalang, 2012-2016. Foto: Ibrahim Mahama.

Che tipo di domande ti fanno le persone che passano davanti a Nyhavn durante l’installazione?

È la prima volta che faccio un lavoro così grande in uno spazio pubblico fuori dal Ghana, a parte Holbæk. Ed è molto interessante: alcune persone pensano che stiamo creando un set cinematografico per il prossimo Mad Max… (grandi risate). In Ghana la gente mi chiede lo stesso tipo di domande: hai intenzione di fare un film? Ho pensato che fosse peculiare del mio paese: a Venezia nessuno ha mai fatto quella domanda, perché era nel contesto della Biennale.

Per il tuo lavoro a Holbæk hai fatto vele con i sacchi di iuta, ma anche alberi con i binari ferroviari. Mi è stato appena detto che prevedi di raccogliere treni in Ghana. Perché?

È stato deciso che la maggior parte dei vecchi treni del Ghana verrà eliminata o riciclata. Nella parte settentrionale del paese non c’è mai stata ferrovia. Sono interessato a salvare quelle macchine, spostandole a nord per costruire un qualche tipo di sistema ferroviario. Non sono sicuro che il gesto sia funzionale o simbolico, visto che il mio intervento all’interno di queste istituzioni funzionanti/disfunzionali è il punto di partenza. La mia passione per i treni deriva dal loro profondo senso della storia: quando due secoli fa è stata costruita la rete ferroviaria del Ghana, i britannici avevano l’obiettivo di usarla per trasportare materie prime dalle terre interne ai porti. In certe aree non hanno costruito tratte ferroviarie perché non si pensava che ci sarebbero state risorse da sfruttare. Da quando abbiamo ereditato il sistema ferroviario, dopo l’indipendenza (nel 1957, ndr), non c’è mai stata una loro espansione. Con il tempo la rete ferroviaria è diventata più lenta, ma ha un potenziale significativo per il paese.

Ti capita mai di vedere te stesso come un filantropo?

No. Mi vedo come un collaboratore.

*pubblicato originariamente su kopenhagen.dk

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