PIANO C, un approccio interculturale all’oncologia infantile

“Nei nostri progetti all’estero, i ragazzi che hanno avuto malattie di tipo onco-ematologiche hanno un’occasione per riappropriarsi di quella che è la loro infanzia o adolescenza”.

di Valentina Benincasa

PIANO C (Challenge. Choice. Camp!) è un’associazione di volontariato che nasce ufficialmente il 6 ottobre 2017 dall’idea di alcuni volontari italiani che hanno dedicato per diversi anni il loro tempo ai campi della rete Serious Fun e si sono innamorati dei luoghi che hanno incontrato. Sono campi situati in tutto il mondo, strutturati per accogliere ragazzi con patologie di tipo oncologico ed ematologico e che donano loro non solo una vacanza, ma un’esperienza unica, che li accompagni negli anni a venire.

L’associazione è nata dal desiderio di dare la possibilità a qualsiasi bambino o ragazzo italiano, avente i requisiti necessari per partecipare ai campi, di partire e tuffarsi in questa magia, senza dover sostenere alcuna spesa.

Il loro progetto principale è Punto a Campo, che dal 2002 accompagna bambini e ragazzi ai campi estivi della rete Serious Fun. L’obiettivo di quest’estate è accompagnare 20 ragazzi dai 13 ai 16 anni a Barretstown, in Irlanda.

In un’intervista a tre voci, Lorenzo, Roberto e Chiara ci raccontano della loro esperienza come volontari e del perché i campi rappresentano un’esperienza di incredibile importanza nella vita di questi ragazzi.

Come nasce Piano C?

Lorenzo: Piano C nasce nell’ottobre 2017 dalla precedente esperienza del progetto Punto a Campo, ideato nel 2002 dalla Fondazione Alberto Rangoni di Trento e portato avanti fino all’estate del 2017.

Poi la Fondazione Rangoni ha deciso di non finanziare più questo progetto maio, che lavoravo nella fondazione, ho pensato che fosse un grande peccato perdere un’opportunità di questo tipo che da la possibilità a ragazzini, affetti da patologie gravi, di fare un’esperienza molto significativa.

Dal confronto con un gruppo ristretto di volontari è nata l’idea di portare avanti il progetto e da qui è nata l’associazione Piano C, grazie a quattro volontari che hanno aderito e con cui abbiamo formato il comitato direttivo. Stiamo portando avanti il lavoro di reclutamento volontari e partecipanti, poi c’è tutta la parte molto più complessa che è quella della raccolta fondi perché è venuto a mancare il sostegno della Fondazione Rangoni. I donatori sono molti, ma la raccolta fondi va avanti nel corso dell’anno perché le risorse da reperire sono tante.

Quali obiettivi vi proponete per quest’anno?

L’obiettivo principale è quello di continuare a far vivere il progetto Punto a Campo, dando la possibilità ai ragazzi che hanno avuto malattie di tipo onco-ematologiche di partecipare all’esperienza di un campo all’estero, di mettere un punto alla loro situazione di emarginazione, malattia e sofferenza e di riappropriarsi di quella che è la loro infanzia o adolescenza.

Considero molto importante il fatto che il campo sia all’estero e che quindi ci sia tutta una serie di scenari differenti da quelli che potrebbero vivere in un campo in Italia.

Questo è il nostro obiettivo primario.

Quali sono i vostri progetti principali?

Siamo appena nati e siamo ancora un’organizzazione molto piccola, ma ci siamo posti la grande sfida di riuscire ad accompagnare, la prossima estate, un gruppo di 20 ragazzini al campo di Barretstown in Irlanda, per il quale abbiamo ottenuto la disponibilità ad essere ospitati. Questo è il primo importante progetto.

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Dopo questa esperienza faremo un bilancio per capire quali attività poter impostare per il 2019, nella speranza di allargare la partecipazione a nuovi e più numerosi gruppi di ragazzi per l’estate successiva.

Vi andrebbe di descrivere com’è una settimana al campo, oppure di raccontare un avvenimento che vi ha colpiti particolarmente?

Roberto: La cosa straordinaria è vedere il cambiamento che vivono i ragazzi durante il campo. Partono senza conoscersi, magari affrontando nuove sfide (come prendere l’aereo o stare lontani dalla propria famiglia), e alla fine della settimana non vogliono più andar via, non vogliono lasciare i loro nuovi amici. Sono persone completamente diverse.

La mattina si svegliano sapendo che andranno a fare molte attività diverse (tra cui tiro con l’arco, equitazione, pesca, teatro, arrampicata). La parola che viene più spesso usata per definire il campo è l’aggettivo magico; il bello delle cose magiche è che non si riescono a spiegare se non si vedono e se non si provano. Questa è proprio una di quelle situazioni in cui se non la si prova sulla propria pelle, è difficile comprendere appieno di cosa si tratta.

Tra i miei ricordi più belli ce n’è uno risalente alla scorsa estate. Eravamo appena tornati a Milano dopo una sessione; tre ragazzi che si abbracciavano e si salutavano mi hanno visto, e dopo avermi incluso nell’abbraccio discutevano del fatto che sarebbero voluti tornare al campo, ma come volontari. Sapevano che l’anno successivo non avrebbero più avuto l’età per essere semplici partecipanti, e sarebbero voluti tornare come volontari. È stato un bel momento per me.

Lorenzo: Ci sono giornate in cui le attività sono molte, ma pur nell’esperienza del divertimento e del gioco c’è uno spazio per la riflessione. Fatta in maniera delicata, leggera.

Un momento di scambio particolarmente apprezzato, che resta un po’ di più anche nelle memorie dei ragazzi, è quello della chiacchierata serale tra le persone che abitano nella stessa casetta (ogni casetta contiene circa una decina di ragazzi e 5 accompagnatori) prima di andare a dormire.

Ci si ritrova per un momento di confronto alla fine della giornata, dal quale vengono fuori spunti e riflessioni profondi. Ricordo in particolar modo, in quest’ultima estate 2017, un gruppo di ragazzi italiani e greci che avevano raggiunto un livello tale di confidenza e di amicizia che tra loro si chiamavano fratelli. Dei ragazzini che venivano da paesi diversi, perfetti sconosciuti prima di arrivare al campo, sono tornati a casa con un bagaglio enorme di esperienza e di affetti.

Chiara: Io vorrei sottolineare l’importanza del fatto che il campo si svolga in Irlanda e che le casette in cui i ragazzi vivono per tutta la settimana siano miste, con gruppi provenienti da paesi diversi. Entrare in contatto con persone che parlano lingue diverse rappresenta per loro un’ulteriore prova, di cui probabilmente non si rendono neanche conto immediatamente. La magia sta anche nel fatto che dopo quindici o venti minuti passati nella stessa stanza loro riescano a chiedersi le cose più improbabili, inventandosi dei modi per riuscire a comunicare. Secondo me superare un così grande ostacolo li aiuterà molto a entrare in contatto con altre persone, in futuro. Difatti, per comunicare non hanno bisogno di una lingua comune ma di tutta una serie di trovate che loro riescono a mettere in atto nel momento in cui sentono il bisogno di esprimersi.

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Cosa vi spinge quindi a portare avanti questo progetto, nonostante le difficoltà?

Lorenzo: per me vuol dire dare continuità a 11 anni di lavoro che si sarebbero persi. Non per il lavoro in sé, ma per i circa 900 bambini che hanno partecipato ai campi.

Molti li ho conosciuti personalmente e ho visto gli effetti positivi che i campi hanno su di loro, e credo che questo progetto abbia ancora tanto potenziale e tanti bambini da accogliere. Concluderlo sarebbe stato secondo me un atto di ingiustizia nei confronti dei bambini che non ci sono mai andati e che potrebbero partecipare. Per cui, è stata una cosa abbastanza naturale. Porto avanti un’attività che ho svolto per tanti anni a titolo professionale ma che, a questo punto, sento ancora più mia perché la svolgo come volontario, coinvolgendo altre persone con cui sento di poter condividere questa esperienza.

Quando parlo di Piano C con chi ancora non l’ha conosciuta, dico che mi piace il fatto che è una cosa nostra, che abbiamo creato noi, che stiamo gestendo noi, che portiamo avanti noi con le nostre mani, ognuno con il proprio piccolo contributo.

Roberto: Io ho avuto la fortuna di provare Punto a Campo sulla mia pelle perché ho cominciato il progetto come camper. Partecipare al campo è stato un modo per rivalutare tutte le aspettativeche io avevo su quello che era stato il mio trascorso nell’oncologia, sulla mia malattia, sulle potenzialità e sui limiti che comprendevo di avere, ed è stato qualcosa che poi mi ha spinto a chiedere di nuovo di partecipare come camper. Dopo averlo fatto per due volte, ho voluto continuare a vivere quest’esperienza come volontario per conoscere altri ragazzi, scoprire altre storie, aver modo di confrontarmi con altre realtà e magari dare un po’ del mio e prendermi un po’ di tutto quello che questi ragazzi possono offrire. Quello che personalmente mi fa andare avanti è il fatto di poterli aiutare a trovare un punto di svolta, come è accaduto per me.

Chiara: Punto a Campo mi ha proprio cambiato il modo di vedere le cose. Mi ha fatto comprendere che questo tipo di esperienza avrebbe potuto essere qualcosa a cui dedicare seriamente del tempo, e non una cosa da fare una tantum d’estate. Ogni volta che partecipo ad un campo torno a casa piena di vita grazie ai sorrisi dei bambini, alle cose che dicono durante la chiacchierata serale, ai genitori che ti abbracciano e che ti ringraziano, alle frasi che scrivono dopo il loro rientro, ai feedback di Lorenzo. Insomma, ti riempiono talmente tanto che ti gonfi come una bolla, e questa ricchezza te la porti dietro tutto l’anno. Secondo me è stata una prova di coraggio quella di dire: “Ok, facciamolo noi”. Penso che questo progetto, a cui ho aderito con forte convinzione, sia un botta di umanità che non è semplice da trovare. E chi ha la fortuna di incontrarla non può lasciarsela scappare.

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Vi va di fare un appello ai lettori?

Certo! Abbiamo bisogno di più persone che ci seguono, di più idee. Il progetto è nato da pochi volontari; ma in realtà è nato non perché pochi volontari l’hanno messa su, ma perché c’erano tante persone dietro che ci hanno creduto in questi anni. E c’è bisogno che tante persone continuino a crederci. Proprio perché siamo cosi piccoli, contiamo sull’aiuto di tutti ma anche su tutti i tipi di aiuto. Se possiamo operare è anche grazie alle raccolte fondi. Quindi anche organizzare un evento che preveda una raccolta fondi per Piano C sarebbe un modo fantastico di aiutarci. Perché questo è un progetto bellissimo, che però ha bisogno di un sostegno anche economico.

Forse il mondo dell’onco-ematologia dall’esterno fa paura, ma vorremmo diffonde l’idea che esistono prospettive diverse e meno tristi da cui osservarlo e viverlo. Una di queste è quella dei campi e della terapia ricreativa, vista da molti come punto di svolta e di riscatto.Chi è curioso di scoprire un mondo nuovo e di vedere questa prospettiva, può seguirci sul sito web e su Facebook. Siamo inoltre molto felici di ricevere aiuto di qualsiasi tipo e valutare ogni proposta di collaborazione; chi abbia anche voglia di mettersi in gioco, di far qualcosa, di dare una mano, non esiti dunque a contattarci.


Per maggiori informazioni:

Sito web: https://www.pianoc.org
Facebook: PiANO C – Challenge. Choice.Camp
Raccolta fondi su GoFundMe: https://www.gofundme.com/iostoconpianoc


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