L’intellettuale arabo e il potere

DEFINIZIONE E CONCETTO DI “INTELLETTUALE”

Il termine intellettuale deriva dal latino intellectualis. Il termine intelligencija (o intellighenzia), anch’esso di origine latina, è diventato popolare grazie al filosofo polacco Karol Libelt. Ma è in Russia del XIX secolo che intelligencija si sviluppò in un concetto attraverso il quale si denota la classe borghese colta, gli intellettuali appunto. Quella classe all’interno della quale era maturata l’idea di avversione contro il sistema vigente, l’idea di abbatterlo e instaurare un nuovo ordine [1].

Se vogliamo identificare nella storia un momento durante il quale il concetto di “persona intellettuale” iniziò a prendere forma concreta, tale momento coincide con il caso Dreyfus. Verso la fine dell’anno 1894 Dreyfus, di confessione ebraica, era un alto ufficiale dell’esercito francese, ed è stato vittima di un errore giudiziario. Il tribunale militare francese di allora condannò l’Alto ufficiale con l’accusa di alto tradimento, in altri termini spionaggio a favore della Germania. Dreyfus venne recluso in una prigione della Guyana francese. Diverse personalità pubbliche (artisti, intellettuali, politici, etc.) giocarono un ruolo fondamentale nell’indirizzare l’opinione pubblica a difesa di Dreyfus. Tra costoro Émile Zola che pubblicò, nel giornale L’Aurore, una lettera aperta intitolata J’Accuse…! (Io Accuso…!) indirizzata all’allora presidente della Repubblica francese Félix Faure. In J’Accuse…! Zola criticò fortemente il sistema giudiziario, sottolineò le irregolarità commesse durante le indagini relative a l’affaire Dreyfus. Non solo, Zola ricordò che la Francia della libertà e dei diritti umani sarebbe morta fintantoché non sarebbe guarita dal profondo rancore e dall’odio antisemita manifestati processando Dreyfus.

Ecco che sorge la figura dell’intellettuale, ossia “quella persona che si appassiona, partecipa e/o segue con estrema attenzione gli eventi che interessano la società; sia riguardo un determinato ambito o un insieme di ambiti affini”; questa tipologia di persona, dunque, segue con occhio critico ed esprime le proprie idee e sentimenti riguardo varie discipline e campi della conoscenza come la letteratura, il cinema, il teatro, la pittura, etc. La distinzione qui tra intellettuali/intelligencija, pensatori e artisti è ben delineata e visibile.

Diverso è il caso invece quando si tratta del mondo arabo. Nella cultura araba la linea di demarcazione non è così chiara tra l’intellettuale che, essenzialmente, legge e segue da un lato, e il pensatore e l’artista dall’altro lato. Sovente accade che queste due categorie (l’intellettuale “semplice”, il pensatore e l’artista) vengono identificati, sbrigativamente, attraverso una sola formula comune: gli intellettuali. L’intellettuale arabo si distingue per il suo carattere enciclopedico, per la varietà dei campi d’interesse e per le tendenze educative, anzi, tendenze, in certi momenti, paternalistiche nei confronti della propria società. Egli (l’intellettuale arabo), di fronte al proprio sentimento di dovere “educativo”, cerca di trasmettere alla società tutto il sapere e tutta la conoscenza possibili, al limite dell’esagerazione. Inoltre, egli si lancia nel lavoro politico perché considera sé stesso la coscienza del popolo; e pensa che la sua posizione sociale gli procuri una sorta di protezione, come pensa anche che egli possa sostituirsi alle istituzioni sociali e politiche assenti, fungendosi un canale del discorso politico [2] che, in realtà, dovrebbe essere trasmesso attraverso tali istituzioni.

“L’intelligencija”, al contrario, possiede quel tanto di cultura che gli permette di avere una visione d’insieme/approccio globale, e uno impegno sia intellettuale che politico. Questa definizione ci pone di fronte al fatto che “l’intelligencija” non si è ancora foggiata nel nostro mondo arabo, come si è invece costituita in Russia e in Europa. Da noi non c’è stato l’illuminismo, né epoche storiche di rivoluzioni scientifiche, né rivoluzioni borghesi che liberarono i popoli dal feudalesimo e dal dominio della Chiesa. Le riforme che ci sono state in seguito alle campagne d’Egitto e di Siria da parte di Napoleone (1798) non sono state altro che riforme di “accomodamento”, in altri termini a volte si è fatto riferimento alla tradizione, altre volte invece si è fatto riferimento alla cultura europea, e in certi momenti si è fatto riferimento sia alla tradizione che alla cultura europea insieme. Questa sorta di dualismo produsse una intelligencija mediocre e fragile, e scuole di pensiero e dottrine politiche imitative. Così, il concetto di intelligencija nel mondo arabo non corrisponde con quello inteso in Europa; ne consegue una definizione di intellettuale generica che incorpora in sé persone colte, ma non possiedono la cultura de “l’intelligencija” e la profondità dell’impegno che lo caratterizza; nonostante ciò, gli intellettuali arabi possiedono una cultura dell’impegno verso i loro popoli arretrati.

Questo succede perché l’intellettuale arabo è soggetto alle medesime condizioni politiche e sociali a cui è soggetta la società. Egli vive in una società arretrata e governata da regimi repressivi, reazionari, che asfissiano la cultura e perseguitano la presa di coscienza. L’intellettuale arabo, in questo stato di cose, è privo delle condizioni favorevoli sia alla crescita culturale sia alla presa di coscienza, proprio perché la reazione (politica) assoggetta la cultura, mentre la repressione ha come obiettivo l’asservimento dell’intellettuale al potere e non gli permette spazio d’azione libero [3]. Qual è dunque il ruolo dell’intellettuale arabo nelle società?

IL RUOLO DELL’INTELLETTUALE ARABO NELLE SOCIETÀ

La posizione dell’intellettuale oggi è cambiato rispetto a quella di ieri. L’intellettuale di oggigiorno non è più semplicemente colui che sa leggere e scrivere in una società caratterizzata da un alto livello di analfabetismo, né colui che scrive poesie da recitare durante le cerimonie, né tantomeno un sufi che si ritira su una torre d’avorio alla ricerca della “Verità” assoluta, per poi riapparire, dopo un lungo periodo di assenza, per predicare tale “Verità” tra le genti. L’intellettuale, oggi, è colui che ha preso consapevolezza dello spirito che guida l’epoca in cui vive, interagisce con il presente e partecipa attraverso la parola e il pensiero per arricchire il sapere delle persone, fino ad arrivare alla loro coscienza più intima, e, così, li rende più umani [4]. Egli, appartenendo ad una élite, cerca continuamente, attraverso il proprio comportamento, i propri pensieri e la propria passione, di orientare i valori costanti, e di esercitare una certa pressione morale assieme ad un gruppo (di intellettuali) per difendere un principio o una causa [5].

L’intellettuale è parte di una determinata cultura che è il risultati di uno scambio sociale avvenuto in un preciso periodo storico. Egli è custode dei valori di tale cultura, la produce, la evolve e la utilizza, e continua a trasmetterla e a riprodurla. S’interroga costantemente circa le fondamenta di questa cultura, le studia e le critica; l’intellettuale è, allo stesso tempo, conservatore da una parte e critico verso ciò che è consuetudine. Questo lavoro basato sulla critica è un lavoro complesso; pertanto, essere in disaccordo con ciò che è consuetudine necessita decisioni strategiche a superare le stesse, necessita inoltre l’elaborazione di un discorso che contrasta e diverge dal pensiero dominante. Questi principi, però, non trovano poi alcuna concretizzazione, dal momento in cui le condizioni oggettive sul piano socio-politico ostacolano questo processo di cambiamento [6]; fintantoché l’intellettuale arabo è osservato-controllato dal potere gli è difficile, per non dire pericoloso, tentare di trasmettere il suo pensiero e le sue teorie, ossia, avere una totale libertà di interazione con la società senza alcun timore di finire nei, terribili, corridoi del leviatano. Perché gli intellettuali abbiano un ruolo vero all’interno della società, devono godere della massima libertà di pensiero e di opinione ed essere indipendenti, non sudditi delle politiche del governante. Altrimenti detto, l’indipendenza della cultura dalla politica è un punto imprescindibile; ma è anche importante rafforzare i rapporti tra gli intellettuali e i politici. D’altro canto, gli intellettuali arabi devono lavorare ad unificare i loro forzi sia sul piano di pensiero che quello culturale , attraverso la formazione di sindacati e di ordini, con l’obiettivo di identificare con chiarezza il loro campo di attività culturale e politica. Il ruolo dell’intelligencija diventa sempre più importante in un contesto di arretratezza e analfabetismo.

Tra i compiti dell’intelligencija è quello di diffondere la consapevolezza nella società, essere promotrice e protettrice del pensiero sano. Queste prerogative non si sono ancora realizzate, o, perlomeno, non si sono realizzate al punto di permettere all’intelligencija o agli uomini di cultura del mondo arabo di essere artisti-creatori attivi nelle loro società o nelle loro professioni. Le leadership (politiche) arabe, generalmente, non sono ben consapevoli del proprio ruolo storico, sono leadership costituite in condizioni socio-politiche straordinarie (decolonizzazione e fondazione di stati indipendenti). La presa di coscienza storica equivale alla volontà di realizzare l’autodeterminazione dei popoli e la loro rinascita. Ne consegue che queste leadership non rispettano la cultura, non identificano la cultura nella sua essenza più profonda; quindi isola gli intellettuali fuori dal campo di battaglia trasformandoli in appendici funzionali alle loro strategie politiche. Dal canto suo, la leadership culturale non individua per sé un ruolo importante circa la lotta del movimento popolare, e finché si considera estranea nei confronti di questo processo non può contribuire al grande progetto volto alla realizzazione di una civiltà araba moderna. Il primissimo ostacolo che impedisce all’intellettuale arabo di esercitare il suo ruolo è dato da una sorta di elitismo culturale degli intellettuali. Questo elitismo esiste in quanto si è distaccato/eretto un muro tra l’intellettuale e le genti comuni, quando l’intellettuale dovrebbe essere il portavoce del popolo. Il secondo ostacolo invece è dato dal fatto che gli intellettuali arabi non individuano le priorità. La produzione culturale araba, dalla Nahdha (XIX secolo) in poi, illustra come l’intellettuale arabo si sia interessato alle problematiche sociali, ma nel quadro della realizzazione del nazionalismo arabo e la costruzione dell’unione araba.

Il pensiero è in stretta relazione con la realtà attraverso un processo continuo di influenza reciproca. Questa relazione va considerata come la base di ogni conoscenza, rappresenta inoltre l’espressione dell’unione tra la teoria e la pratica. Nella teoria della conoscenza, in principio, la teoria non è scollegata dalla nuova realtà che essa costruisce. Il lavoro teorico e collegato all’esperienza storica; pertanto, la conoscenza umana sarà consapevole dell’oggettività del mondo e la sua evoluzione solo attraverso l’esperienza/pratica storica.

Guardare alla realtà così com’è è il principio per poter comprendere le sfaccettature e le dimensioni che la compongono. Questa consapevolezza è uno dei pilastri, nonché la condizione necessaria per attuare il cambiamento [7]. Se gli scrittori francesi di oggi prendono posizione e influenzano l’opinione pubblica circa le questioni che interessano la società, ed hanno acquisito un certo potere nei confronti dei governanti, è grazie ai loro predecessori i quali affrontarono l’ideologia e il sistema dispotici, e riuscirono a fissare i principi che regolano il rapporto tra intellettuale e potere, nonché i principi di libertà, dell’interesse pubblico, del suffragio universale, e condussero lunghe battaglie contro la censura e a favore della libertà d’opinione. Questo presupposto è necessario affinché l’intellettuale acquisisca un prestigio nelle società democratiche.

Per contro, i nostri intellettuali sono chiamati a condurre una battaglia culturale, per gettare le fondamenta per un domani democratico; questo se vogliamo è un intellettuale arabo al passo con la modernità. È un processo lungo e difficoltoso anche perché gli intellettuali arabi del passato non avevano idea di cosa volesse significare il concetto di “opinione pubblica; non erano inclini ad ascoltare coloro che chiamavano la “massa”, né tantomeno li ascoltavano prima di prendere in mano la penna d’oca. A quel tempo c’era solo il faqih (giurista musulmano) ad avere influenza sulla massa, la quale si rivolgeva al faqih per avere risposta di natura religiosa circa alcuni dubbi. Il nostro intellettuale di oggi dovrebbe essere un intellettuale moderno e nonerede del potere religioso del faqih. L’intellettuale arabo del passato si era trovato di fronte ad una relazione triplice: il dotto, il governante (re o capo dello stato) e la massa. Il dotto si adopera per avere il potere; il governante è un despota e cerca di persuadere i dotti e il loro potere della conoscenza; mentre la massa è la posta in gioco in mezzo al governante e il dotto. Il faqih pretende il controllo sulla società perché rimanga musulmana, e il controllo sul governatore, il quale per avere legittimità deve applicare la cosiddetta legge islamica. Il governatore, sia attraverso la persuasione che la coercizione, si accerchia di fuqaha (plurale di faqih) che fungono da testimoni del suo governo di matrice religiosa. In un contesto complesso quanto pericoloso come quello appena descritto, il nostro intellettuale dovrebbe lottare per gettare le fondamenta del proprio potere intellettuale, e non dovrebbe sperare che gli venga dato da nessuno.

L’intellettuale arabo dovrebbe conquistare il potere intellettuale come diritto e attraverso una dura battaglia culturale. La sua battaglia dovrebbe avere come obbiettivo l’instaurazione della democrazia, la premessa per l’esistenza e l’indipendenza dell’intellettuale [8]. Quindi, qual è il rapporto tra l’intellettuale e il potere?

L’intellettuale e il potere

Il rapporto tra l’intellettuale e il potere nasce dalla necessità di ogni società di istituire un sistema. Il sistema può essere un sistema basato su dei valori, di leggi, simbolico o politico. L’obiettivo di questo sistema rimane quello di forgiare una società con caratteristiche ben definite, e di contenere ogni tentativo di riforma che può nascere in senso ad essa. Perché il sistema rimanga forte e funzionante dovrebbe basarsi sulla conoscenza; dietro ogni sistema, qualunque esso sia, vi è un patrimonio di conoscenze. Si evince che il potere equivale ad un sistema, il quale per diventare un potere che guadagna la fiducia degli altri necessita della conoscenza che gli fornisce gli strumenti sia di controllo che di persuasione e di dominio.

Vi è una triade organica e salda costituita da: sistema, conoscenza e potere.

In generale, la conoscenza è una delle dimensioni del potere. Per cui è fuorviante affermare che la conoscenza è in contrapposizione con il potere, oppure distante o in accordo con esso; poiché non vi è potere senza conoscenza, e non vi è conoscenza che non si rifà ad un potere dominante, ed essa stessa cerca di dominare. Così siamo di fronte ad un scenario ricco e complesso che rappresenta il rapporto tra gli intellettuali e il potere. Un rapporto che inizia con l’indifferenza, per poi attraverso altre forme come il rapporto di sorveglianza reciproca, di persecuzione, di mutualità libera, fino a raggiungere un’alleanza organica tra i due [9].

È l’intellettuale, qualunque esso sia il suo campo di specializzazione, che fornisce il sistema con gli strumenti del controllo attraverso la conoscenza che produce. Ogni sistema necessita di un patrimonio di conoscenze il cui obiettivo è elaborare la verità. Esso possiede una propria verità che la conoscenza, prodotta dall’intellettuale, disciplina nel quadro di un sistema di parole/discorsi, di canali di interazione e di meccanismi che insegnano a distinguere ciò che è vero da ciò che è falso.

Il sistema non può continuare ad essere in vigore se non elabora una politica generale della verità atta a legittimare il suo discorso, le sue azioni, i suoi organi di governo, le sue promesse e la sua prassi.

L’intellettuale è capace di produrre una tipologia di discorso straordinario. Egli possiede un potere che non conosce limiti: il potere dei simboli e della parola. Chi possiede la parola inevitabilmente possiede il potere della persuasione; una persuasione capace di travalicare i limiti dell’emozione.

Di conseguenza, l’intellettuale può imporre una determinata teoria, porre domande e giudicare/valutare le cose, e in un passaggio successivo le riconosce o invita a riesaminarle.

L’intellettuale che intende cambiare ciò che è dominante dovrebbe dissociarsi dal sistema, non sottomettersi alle strutture culturali dominanti, ai rapporti sociali e alla distribuzione della ricchezza. Ma è tenuto a combattere strutture salde e ferme nell’incoscienza della gente. Tali strutture, spesso, manifestano la loro essenza con una ferocia assai più grande degli strumenti insufficienti nellemanidi questo intellettuale ribelle. Anche se dovesse partecipare a un movimento sociale che potrebbe fornirgli un minimo di protezione, questo intellettuale non possiede altro che il suo bagaglio simbolico, il quale non gli garantisce di trasformarsi in una forza materiale che potrebbe trasmettersi alla gente comune.

Il sistema produce elementi che gli permettono di assorbire e rielaborare la critica, per poi integrarla nel potere, qualsiasi essa sia la sua natura, la sua funzione e il suo obiettivo. Il fine ultimo del sistema è quello di forgiare una società con caratteristiche ben definite, e di contenere ogni tentativo di riforma che può nascere in senso ad essa. Per attuare tutto ciò, ha bisogno, della conoscenza; mentre il potere ha bisogno di un sistema; d’altro canto la conoscenza fornisce il potere degli strumenti necessari per attuare il sistema, e tutti gli strumenti volti ad instaurare l’equilibrio e le leggi per mantenere l’ordine nella società. Quindi, lo stato è potere, ma non sempre il potere equivale a stato. Vi sono differenti forme di potere che interagiscono nella complessa rete delle interazioni sociali. Il potere è un insieme di dispositivi, sia produttori di ideologie che di repressione, cui compito è assorbire ogni tipologia di potere esistente nella società, e trae legittimazione attraverso le leggi [10].

L’intellettuale presenta un’immagine di sé in quanto oppositore del potere che è vera fino ad un certo punto, e in casi rarissimi. Pertanto, la grande maggioranza degli intellettuali può esistere solo all’interno del potere, nasce dalle sue istituzioni, lì vive e muore.

Dal punto di vista del pensiero e dell’ideologia gli intellettuali sono parte integrante del potere culturale. Questa condizione varia a differenza della forma istituzionale di appartenenza e della tipologia del sistema politico in vigore. In certi casi ci si trova di fronte ad una situazione/condizione di duplicità che si potrebbe definire con “uscita nel potere” più che “uscita dal potere”. Un esempio potrebbe essere la competizione di pensiero ma anche politica tra i docenti universitari, senza, però, rischiare di perdere il suo prestigio all’interno delle strutture universitarie. L’intellettuale, spesso, rappresenta sé stesso come vittima del potere, ma di rado rinuncia ai privilegi che il potere gli offre; egli aspira ad allargare il suo potere; anzi, a diventare egli stesso il potere [11].


In copertina: Abd al-Rahman Munif, tra i più importanti scrittori arabi del XX secolo. Nei suoi romanzi ha abilmente analizzato i cambiamenti sociali e politici nel Vicino Oriente, denunciando gli abusi delle classi diregenti dei molti paesi arabi in cui ha vissuto. Per le sue posizioni critiche, l’Arabia Saudita gli tolse la cittadinanza e proibì diverse sue opere. Fonte immagine


[1]نديم الانصاري – المثقف العربي والسلطة– مجلة الوحدة العدد 10 يوليوز 1985 صفخة 13

[2] د المختار بنعبدلاي – الثقافة العربية ومعطيات الواقع الراهن والافاق المتطورة– مجلة الوحدة العدد 101-102 مارس – فبراير 1993 صفخة 47

[3] ناجي علوش – المثقف العربي والنضال القومي– الوحدة – المثقف العربي بين السلطة والمجتمع تموز 1985 صفحة 60-62

[4] كريم ابو حلاوة، المثقف العربي واشكالية الدور المفقود– مجلة الوحدة العدد 66 مارس 1990 المثقف العربي والتحولات المجتمعية صفحة 88

[5] محمد نور الدين افاية،  المثقف والسلطة- جدل الاقصاء والاعتراف، مجلة الوحدة – المثقف العربي بين السلطة والمجتمع تموز 1985العدد 10

[6] د- طاهر لبيب،  تساؤلات حول المثقف العربي والسلطة،  مجلة الوحدة 1985 العدد 101- 102، المثقف العربي بين السلطة والمجتمع،  صفخة 5

[7] عبد الرحمان منيف،  بين الثقافة والسياسة،  ص 73

[8] د المختار بنعبدلاي، الثقافة العربية ومعطيات الواقع الراهن والافاق المنظورة، الوحدة العدد 101-102 1993 ص 44

[9] محمد نور الدين افاية، المثقف والسلطة جدل الاقصاء والاعتراف، الوحدة 1985 المثقف العربي بين السلطة والمجتمع ص 75

[10] محمد نور الدين افاية،  المثقف والسلطة جدل الاقصاء والاعتراف، الوحدة 1985،  المثقف العربي بين السلطة والمجتمع، ص 75

[11] كريم ابو حلاوة، المثقف العربي واشكالية الدور المفقود،  الوحدة العدد 66 -1990، المثقف العربي والتحولات المجتمعية، ص 87


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