Unhcr: “12 milioni di persone senza cittadinanza”. Lotta mondiale all’apolidia

di Martina Strazzeri

È una dura realtà quella dell’apolidia. Purtroppo esiste, ma rappresenta ancora un tema poco dibattuto. Attualmente nel mondo esistono milioni di persone che nessuno Stato si preoccupa di riconoscere come propri cittadini. Sono persone fantasma, è come se non esistessero sulla carta. Per tentare di porre rimedio a questa situazione, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha dato avvio a una campagna che ha come scopo primario quello di ridurre nettamente il numero degli apolidi presenti nel mondo. Non è un caso che la campagna è stata lanciata proprio a pochi giorni dal 50° Anniversario della Convenzione sulla Riduzione dell’Apolidia del 1961, il 30 Agosto 2011.

Varie risultano essere le cause dell’apolidia; moltissime sono legate a questioni legali. Dato che è come se non esistessero legalmente, gli apolidi si ritrovano spesso a subire negazioni circa il rispetto dei loro diritti fondamentali, tra i quali il diritto alla salute, allo studio, al lavoro e alla casa. Non hanno nemmeno la possibilità di intestare a proprio nome beni mobili ed immobili, né possono aprire un conto in banca, né sposarsi legalmente e tantomeno registrare la nascita di un figlio. Altri rischiano lunghi periodi di detenzione, dal momento che non possono fornire delle prove sulla propria identità e provenienza. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Antonio Guterres, sostiene che queste persone necessitano di aiuto, dato che sono costrette a vivere ai margini del mondo.

Secondo i dati forniti dall’Unhcr ammonterebbe a circa 12 milioni il numero di apolidi presenti nel mondo, anche se il numero potrebbe aumentare, vista la difficoltà di rintracciare gli apolidi. Il problema risulta inoltre più avvertito nel Sud Est Asiatico, nell’Asia Centrale, nell’Est Europa e nel Medio Oriente. Ed è proprio il fenomeno della successione degli Stati a causare il problema dell’apolidia, in special modo se la questione non viene fronteggiata prima del processo di frammentazione dello Stato (in Sud Sudan -nazione nata di recente – si rischia un alto tasso di apolidi se non si definirà rapidamente lo status dei sud-sudanesi che vivono nel nord e dei nord sudanesi che vivono nel sud).

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Mark Manly, capo della Unità sull’Apolidia presso l’Unhcr afferma che la dissoluzione degli Stati, la formazione di nuovi, il trasferimento di territori e la ridefinizione dei confini hanno costituito per gli ultimi due decenni le principali cause di apolidia. Durante gli anni ’90 la dissoluzione dell’Unione Sovietica, della Yugoslavia e della Cecoslovacchia hanno portato a centinaia di migliaia di apolidi nell’Est Europa e nell’Asia Centrale. Tuttavia, negli ultimi anni in queste regioni si è provveduto a risolvere numerosi casi di apolidia. In aggiunta, l’apolidia presenta un’ulteriore conseguenza, questa può auto-perpetuarsi. In moltissimi casi, se i genitori sono apolidi, anche i figli saranno eredi della medesima condizione dal momento in cui verranno alla luce. Quindi un’altra generazione risulterà flagellata da questo problema. Spesso saranno bambini che non potranno ricevere un’educazione scolastica o altri servizi fondamentali.

Per quanto concerne le donne, uno studio condotto dall’Unhcr ha rivelato che in almeno 30 paesi ci sono legislazioni sulla cittadinanza che discriminano il sesso femminile. In alcuni Stati, addirittura, non si riconosce la facoltà alla madre di poter trasmettere la propria cittadinanza alla prole. Nonostante questi esempi negativi, ci sono molti Stati che si stanno battendo per eliminare disuguaglianze di questo tipo. Guardiamo alle legislazioni dell’Egitto (2004), dell’Indonesia (2006), del Bangladesh (2009), del Kenya (2010) e della Tunisia (2010), alle quali sono state apportate diverse modifiche assicurando alle donne il godimento dei medesimi diritti di cui fruiscono gli uomini, il mantenimento della propria cittadinanza e la possibilità di trasmetterla ai propri discendenti. Questi sono alcuni degli obiettivi che l’Unhcr si è proposto di realizzare.

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Continuando nell’analisi del problema, è possibile affermare che molteplici situazioni di apolidia presentano dei tratti comuni, come la discriminazione etnica e razziale, la quale porta all’emarginazione soprattutto quando il potere politico ignora il problema e non agisce per eliminarlo. Fra i gruppi ai quali è stata negata la cittadinanza al momento della nascita o dell’indipendenza dello Stato ritroviamo i musulmani residenti (i Rohingya) nel nord dello Stato Rakhine nel Myanmar, le tribù delle colline della Thailandia, i Bidoon negli Stati del Golfo. Negli ultimi mesi paesi come la Croazia, le Filippine, il Turkmenistan e il Panama hanno deciso di prendere parte ad uno o a tutti e due i trattati internazionali sull’apolidia.

La dimostrazione che il problema dell’apolidia gode di scarsa considerazione da parte degli Stati la ritroviamo nel numero di Stati che hanno preso la decisione di ratificare le due Convenzioni sull’apolidia: al 25 agosto, solamente 66 sono gli Stati che hanno deciso di aderire alla Convenzione concernente lo status degli apolidi del 1954, la quale provvede a fornire una definizione di apolide e a stabilire i livelli minimi di trattamento per tali persone. Ammonta a 38 il numero degli Stati che fanno parte della Convenzione del 1961 circa la riduzione dell’apolidia, la quale afferma i principi e fornisce un quadro giuridico finalizzato ad aiutare gli Stati a prevenire l’apolidia. Ad oggi fanno parte delle Nazioni Unite 193 paesi. Secondo Antonio Guterres è allarmante il fatto che milioni di persone attualmente vivono private non solo della cittadinanza, ma anche di tutta una serie di diritti umani fondamentali. I governi devono agire prontamente, con degli interventi efficaci e delle politiche volte a risolvere o comunque ad arginare questa grave emergenza, ma tutto ciò sarà possibile solo quando gli Stati avranno preso coscienza della gravità della situazione-apolidia.


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