“Nessuna traduzione in arabo nei processi”, legali palestinesi contro l’Idf

Un tribunale dell'Idf nella prigione di Ofer, vicino Gerusalemme - foto di JINI

L’esercito israeliano ribadisce ancora una volta che “non c’è alcun bisogno o dovere di tradurre documenti giuridici, quali sentenze o trascrizioni giudiziarie, in arabo“, ma che tuttavia potrebbe rivedere la questione. Il problema delle mancate traduzioni è stato sollevato ancora una volta da parte di quattro legali palestinesi (Haled Ala’arj, Mahmoud Rashid Alhalabi, Ihab Aljalid e Tawhid Shaaban) che – con una petizione alla Corte di Giustizia israeliana – hanno sostenuto che il fatto che i documenti sono esclusivamente in ebraico minano il diritto al giusto processo.

Nei primi 25 anni di occupazione militare della Cisgiordania e di Gaza tutti i rinvii a giudizio venivano tradotti in arabo dai tribunali militari. Ma dopo la stipulazione degli Accordi di Oslo questa ragionevole prassi è stata interrotta. Ora infatti tutti i documenti che vengono consegnati all’accusa e alla difesa sono esclusivamente in ebraico.

Come riportato da Haaretz, nella petizione viene esposto che i firmatari sono palestinesi residenti nei territori occupati che hanno studiato legge ma non in ebraico; lo svantaggio linguistico rende quindi i legali limitati nel processo, con ovvie conseguenze per gli assistiti, il che spiegherebbe le enormi quantità di patteggiamento nei tribunali militari.

Lo Stato ebraico ha risposto alla petizione sostenendo che i quattro avvocati parlano ebraico (inutile dire che la conoscenza di una lingua non implica necessariamente la familiarità del linguaggio tecnico-giuridico nella lingua stessa); inoltre l’avvocato della procura di Stato Aner Helman, che ha firmato la risposta, ha dichiarato che la petizione non è riuscita a dimostrare il fatto che il diritto al giusto processo sia stato effettivamente leso e che secondo il diritto internazionale non è necessaria la traduzione di tutti i documenti. Ha inoltre aggiunto che il fatto che i documenti non siano stati tradotti per anni “non ha danneggiato l’equità dei processi che hanno avuto luogo”. Nonostante questa presa di posizione dello Stato, l’Idf è – si legge nella risposta – alla ricerca di eventuali mezzi per finanziare le traduzioni. La prossima settimana l’Alta Corte si esprimerà a riguardo.

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Cito l’art. 11 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo al comma 1:

Ogni individuo accusato di reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie per la sua difesa.

Valerio Evangelista


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