Monica e la “gioia di essere una mamma affidataria”

 

Si chiama Monica, italiana, 54 anni, felicemente sposata da 24 anni con una figlia naturale che frequenta l’università. Da 18 anni, però, lei e suo marito, sono con gioia anche una famiglia affidataria. “La mia vita è fare la mamma, la moglie, la donna di casa – racconta – mi occupo della mia famiglia e permetto a tutti di lavorare e studiare. Ho frequentato la facoltà di giurisprudenza, ma non mi sono laureata. Nessun rimpianto: personalmente mi sento molto realizzata e molto fortunata. Oggi il bene più grande è avere tempo e io ne ho. Come fosse un tesoro prezioso lo regalo”.

Monica ha iniziato così il suo racconto. Ma a chi si riferisce? Ai figli. Infatti segue la figlia naturale e anche altri bambini che si trovano momentaneamente in difficoltà. E’ una mamma affidataria.

“L’affido familiare – prosegue – è una delle forme più disinteressate di solidarietà umana. Molti dei bambini sono arrivati dall’Africa, bambini neri. Perché dico neri? Per come siamo io e la mia famiglia avrei sicuramente detto bambini provenienti da altri paesi. Ma dico così, perché, purtroppo, mi sono resa conto che nella realtà di tutti i giorni, gli stranieri sono tollerati, ma non vale la stessa cosa per chi ha la pelle di ebano! Mi è capitato, infatti, ancora oggi, di trovare imbarazzo negli altri. Se il piccolo fosse bianco, nessuno direbbe mai “che bel bianchino”.

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Quindi lei pensa che ancora oggi si discrimina per il colore della pelle?

“Sì. Molti italiani non vedrebbero di buon occhio che un loro figlio/a si unisse sentimentalmente con un nero/a. In numerosi centri commerciali notissimi non hanno nei loro organici al pubblico gente di colore. Figurati se mi faccio tagliare della carne o del formaggio da un nero, qualcuno potrebbe pensare. Ricordo ancora che una volta all’interno di un parcheggio – sottolinea Monica – dentro un’ auto era stato lasciato un cagnolino con i vetri chiusi ed essendo luglio, sono rientrata nel supermercato facendo presente al direttore quello che avevo visto. Gentilmente è uscito insieme a me per constatare anche lui: ci siamo messi a guardare dentro l’auto, quando è sopraggiunta una signora che, ignara di tutto, ha esordito “c’è un nero che sta scappando!”. La donna aveva pensato che il nostro guardare all’interno della vettura e l’allontanarsi frettoloso di un giovane africano, facesse presupporre un furto e quindi ha subito etichettato il ragazzo come un ladro”.

di Ebla Ahmed


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