Tra gli ‘indios maremmani’, contadini che conservano il rito magico del cantare il maggio

 

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Dal mare alla montagna
Un canto già si sente
È il maggio che ritorna allegramente

Cantare il maggio, un rito magico dei contadini della Toscana meridionale che è sopravvissuto al fascismo ed alla modernità – testo e foto di Stefano Pacini

Non è raro imbattersi in Maremma – ma anche nella montagnola senese – in squadre di “maggerini” cantanti contadini addobbati con cappelli colmi di rose, forniti di fisarmoniche e chitarre, spesso di un Poeta capace di comunicare in ottave improvvisate, di un alberaio, che sorregge appunto un alberello colmo di fiori e nastri colorati, simbolo della primavera che è ritornata e di benagurio per i raccolti, e di un corbellaio che nel cesto raccoglierà le offerte raccolte casa per casa: cibo ma adesso soprattutto denaro con cui organizzare un grande pranzo collettivo, “la ribotta”. Si canta la primavera ma questa è già arrivata, e quindi in fondo si canta il ciclo del raccolto, il cuore contadino della stagione primavera-estate.

Colpisce il mescolarsi di rito e di quotidianità nelle case: i maggerini come sacerdoti di una religione tradizionale, una religione comunitaria e legata alla terra. Come se benedicessero le case non nel modo cristiano, ma come rappresentanti del senso sacro della vita collettiva, degli incontri, dei bisogni di alimentazione, della socialità.

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Tanti anziani e giovani sono tornati o entrati per la prima volta nella tradizione e la cultura popolare sta vivendo una nuova stagione di vitalità. In Italia è difficile immaginare una via di mezzo tra la performance su palco di Ascanio Celestini ispirata anche  scrupolosamente a fonti documentate, e lo snaturamento commerciale. E’ difficile immaginare gente comune che costruisce forme di festa tradizionali come opera del presente senza professionismo, come fanno i gruppi dei maggerini.

Chi canta il maggio lo fa anche come memoria del movimento dei contadini e degli operai. Pratica il maggio seguendo quelle ragioni per cui durante il fascismo esso fu messo al bando. Rileva l’idea di un maggio come rinascita delle stagioni e rinascita della società. Il maggio è quindi legato indissolubilmente  al 1 maggio dei lavoratori. E’ un maggio ricco di storia che si arricchisce di nuove storie: il kilometro zero dei cibi, i gruppi di acquisto solidale, la difesa dell’acqua collettiva. La critica dei potenti, sempre e comunque. E’ un maggio che tracima di canti per tutto il mese, segno libertario di identità collettiva dei vecchi indigeni e dei nuovi abitanti delle campagne toscane.

Quello che segue ,cantato sull’aria del Nabucco di Giuseppe Verdi, è stato scritto da Pietro Gori ed è apparso su canzonieri e fogli volanti (Canzoniere dei Ribelli, La Spezia 1908). Rappresenta fra i maggi l’idea anarchica della festa introducendo, forse per primo, la tematica del maggio come “Pasqua dei lavoratori”. Conosciuto anche con il titolo “Alba di maggio” è stato proposto dalla squadra di Sassofortino (Roccastrada) che ha iniziato a cantarlo dal secondo dopoguerra.

Vieni o maggio, ti aspettan le genti
ti salutano i liberi cuori
dolce Pasqua dei lavoratori
vieni splendi la gloria del sol.

Brilla un inno di alate speranze
del gran verde che ‘l frutto matura,
dalla vasta ideal fioritura
in cui freme lucente avvenir.

Disertate o falangi di schiavi
dai cantieri, dall’alte officine
via dai campi, su dalle marine
tregua, tregua all’eterno sudor.

Via innalziamo le mani incallite
noi siam fascio di forze feconde
noi vogliam redimere il mondo
dai tiranni dall’ozio e dal mal.

Giovinezze dolori ideali
primavera dal fascino arcano
verde o maggio del genere umano
date ai petti il coraggio e la fe’.

Date fiori a’ ribelli caduti
co’ lo sguardo rivolto all’aurora
e al gogliardo che lotta e lavora
e al veggente poeta che muor.


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