“La mia classe”, a lezione di interculturalità con Mastandrea


Nel quartiere multietnico del Pigneto a Roma, in una classe scolastica si incontrano emigranti e stranieri di tutte le età che imparano l´italiano. Le vicende individuali degli studenti si incrociano con quelle di un insegnante (Valerio Mastandrea) che, consapevole del ruolo che ha nel costruire l’Italia del futuro, si lascia coinvolgere e trova la forza per affrontare la sua malattia.

conferenza stampa - Valerio Mastandrea, Bassirou Ballde

Testo e foto di Monica Ranieri

“Quello che facciamo non serve a un cazzo”. È lo sconsolato, amareggiato sfogo di un insegnante di lingua italiana. No, anzi, è l’amara constatazione di un attore, Valerio Mastandrea, che mentre impersona il ruolo dell’insegnante di fronte ad una classe di stranieri adulti, non può non confondere i due piani, quello della fiction, che tenta di elaborare una narrazione alternativa alla semplificazione del discorso mediatico di massa di un tema tra i più caldi della nostra attualità, e quello della realtà.

Perché è la realtà a rivelare la sua irriducibilità, in quei momenti in cui rivela impietosamente il contrasto tra la delicatezza, la profondità, il dolore di esperienze umane e la categorizzazione svilente, la burocratizzazione sorda e la criminalizzazione dell’esistenza stessa. “La mia classe”, film diretto da Daniele Gaglianone, stimato documentarista con all’attivo però già diversi lungometraggi di fiction, si scontra proprio con questa contraddizione, plasmandosi intorno ad essa, abbracciandola, rivelandola, mischiando rischiosamente le carte.

È lo stesso Gaglianone a chiarire la poetica del lavoro, che ha visto impegnati la sua troupe, Valerio Mastandrea e attori non professionisti di differenti nazionalità selezionati in vere scuole di italiano per stranieri di Roma: “Abbiamo deciso di strutturare il film su due livelli, uno in cui Valerio Mastandrea interpreta il professore e un altro nel quale si esibiva il fatto che stessimo girando un film. Questi due livelli si intrecciano fino a diventare inscindibili: l’obiettivo è quello di fare in modo che lo spettatore smetta di chiedersi che cosa sta vedendo, un documentario, un film di finzione, un docufiction, un backstage semplicemente perché tutte queste categorie non hanno più senso in questo contesto”.

conferenza stampa- Bassirou Ballde, Shujan Shahjalal

Il racconto cinematografico dell’immigrazione e dell’incontro interculturale in Italia vede numerosi tentativi eccellenti tanto nel campo della fiction (con prodotti di altissimo tenore qualitativo e narrativo come “Il villaggio di cartone” di Olmi o “Terraferma” di Crialese) quanto in quello documentaristico, sebbene non sempre legati alla grande distribuzione (basti citare il recente “La nave dolce”, la produzione documentarista di Andrea Segre, e accennare al fermento di un nuovo cinema “migrante” che con Dagmawi Yimer rivela attraverso il documento tutta la forza e la necessità di una narrazione in prima persona dei fenomeni legati alle dinamiche migratorie nel nostro paese).

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Una grammatica di riferimento, ed una riflessione sul rapporto tra realtà e finzione non mancano, dunque, eppure ne “La mia classe” tutto viene rimesso in gioco, ridiscusso, ibridato. Si tratta in realtà di una sorta di moto di liberazione, cui la troupe è ricorsa, dopo aver vissuto, poco prima dell’inizio delle riprese, il disagio, tecnico ed esistenziale, legato alla scadenza del permesso di soggiorno di uno dei ragazzi protagonisti del film. Dopo aver risolto in modo rocambolesco l’imprevisto, la struttura della sceneggiatura originale, suggerita dalla reale esperienza di un’insegnante di lingua italiana per stranieri, Claudia Russo, è stata sconvolta dal tentativo di immaginare cosa sarebbe successo se il problema fosse sorto durante le riprese del film, come spiega Gaglianone: “Avrei dovuto fare il secondino, paladino di una legalità che ritenevo e ritengo illegittima da un punto di vista etico e politico e contro la quale il film puntava il dito”.

Valerio Mastandrea e Daniele Gaglianone

“Allora, grazie anche ad intense conversazioni con Valerio e con gli altri, abbiamo deciso di fare entrare a gamba tesa nel film tutto il disagio che stavamo provando in quella circostanza”. Il film diventa così una sfida, nella difficoltà di mantenere coerentemente la concentrazione su una struttura rischiosa che in ogni momento rischia di esplodere, così come è esplosa tra le mani di Gaglianone & CO. la realtà, e, nel contempo appare sia uno spunto per tornare a riflettere sull’essenzialità della narrazione cinematografia e sullo statuto stesso dell’immagine, sia allegoria dell’incontro tra l’umanità delle esperienze e delle persone: “Il set diventa allegoria del fortino nel quale si ha la tentazione di rinchiudersi allontanando una vitalità e un dolore che vogliamo extra, straniero, ma che ci appartiene anche perché provocato direttamente dal sistema economico e sociale nel quale viviamo e del quale siamo diventati ostaggio. Gli studenti con cui, credo, sia impossibile non entrare in empatia ad un certo punto rivelano l’inferno che hanno attraversato e attraversano per avere il diritto di esistere anche solo in quanto corpi. Gli studenti che provengono apparentemente da mondi rassicuratamente lontani divengono familiari, divengono “nostri”attraverso le lezioni di italiano in tutta la loro dimensione sia didattica sia ludica: e allora smettono di essere invisibili” .

Invisibili, così come erano invisibili i migranti in “Cose dell’altro mondo”, film del 2011 di tutt’altro registro, in cui però Valerio Mastandrea aveva già avuto a che fare con la difficoltà del nostro paese di riconoscere umanità ed esistenza ai “migranti”. Se allora si partiva dalla negazione dell’esistenza, in “La mia classe” è la prorompente vitalità degli studenti a risvegliare nell’insegnante/attore un moto di indignazione verso le politiche dell’immigrazione. Dal punto di vista prettamente attoriale, avere a che fare con attori non professionisti, ed anche lo sconforto di fronte a certe dinamiche “che un film non può cambiare” sono stati per Valerio, umanamente e professionalmente, uno stimolo ulteriore a chiedersi cosa il cinema può effettivamente fare: “Sono vent’anni che ci poniamo domande, ad un certo punto sei portato a pensare che non bisogna fare film, bisogna trovargli un lavoro per risolvere il problema”. Il lavoro dei migranti, necessario per la regolarizzazione della loro posizione giuridica in base alle contestate norme vigenti, non è però l’unico problema in cui si imbatte “La mia classe”.

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Il regista e il cast

Lo stesso Mastandrea ammette di non essere stato a conoscenza, prima della lavorazione del film, dell’Accordo di Integrazione del 2012 per cui la conoscenza della lingua italiana costituisce requisito fondamentale per il rilascio del permesso di soggiorno. Trattandosi di un passaggio burocratico fondamentale ci si aspetterebbe da parte delle istituzioni la messa in campo di strumenti e professionalità atte a garantire una formazione adeguata e capillare sul territorio a coloro i quali devono ricorrerne in base a quanto previsto dalla legge. Eppure il 60% del lavoro di formazione linguistica è svolto da volontari, e la figura professionale dell’ insegnante di italiano L2/LS non è stata ancora riconosciuta ufficialmente dallo Stato Italiano, tanto che comincia a diffondersi anche la soluzione di affidare ad insegnati in pensione (il caso di Brescia ha sollevato non poche polemiche) un compito che richiede invece la conoscenza di strumenti e metodologie didattiche elaborate e specifiche, per le quali esistono pure corsi di formazione ad hoc.

Easther Sam

Lo sa bene la stessa Claudia Russo, che definisce proprio per questo “La mia classe” un film “politico”: Claudia ha collaborato con Gino Clemente alla stesura della sceneggiatura di partenza del film, girato nel quartiere multietnico di Tor Pignattara di Roma ma ambientato in un CTP (centro territoriale permanente per adulti), proprio per mettere in risalto la contraddizione di fronte alla quale l’istituzione pubblica viene a trovarsi. Nonostante lo stravolgimento della sceneggiatura iniziale, l’esperienza diretta di Claudia informa i passaggi più riusciti del film, quelli in cui spontaneamente e con freschezza vengono riproposte dinamiche e situazioni tipiche, ma non banali, che si instaurano nel contesto dell’insegnamento della lingua italiana agli stranieri. La conferenza stampa di lunedì 13 gennaio e la presentazione del film al Nuovo Cinema Aquila il 16 sono state quindi occasione per gli addetti ai lavori, riuniti in una mobilitazione per riconoscimento della professionalità degli insegnati di italiano L2/LS, per rimarcare le problematiche legate al proprio lavoro. Una scelta politica è stata anche quella del produttore, Gianluca Arcopinto, che ha avallato e sostenuto il progetto, coinvolgendo Gaglianone prima e Mastandrea poi, anche contando sul supporto della Rai, che, seppur in assenza di un soggetto nettamente definito,ha agevolato la produzione del film nella fase di casting. Il coraggio di Arcopinto risiede nella volontà di sganciarsi però dal meccanismo strangolante della grande distribuzione “che ha ucciso il cinema italiano”, puntando su vie alternative, più dignitose, per riuscire ad occupare “tutti gli spazi possibili giusti per il film”. La mia classe, dopo essere stato accolto con interesse a numerosi festival durante il 2013, è in questi giorni in programmazione ad Ancona, sarà in proiezione a Roma al Nuovo Cinema Aquila a partire dal 23 Gennaio, mentre sono già in previsione ulteriori tappe a Torino, Perugia, Bologna.

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Cast e sinossi
Regia: Daniele Gaglianone
Cast: Valerio Mastandrea, Benabdallha Oufa – Tunisia , Shadi Ramadan – Egitto , Easther Sam – Nigeria, Shuajan Shahjalal – Bangladesh.

Nel quartiere multietnico del Pigneto a Roma, in una classe scolastica si incontrano emigranti e stranieri di tutte le età che imparano l´italiano. Le vicende individuali degli studenti si incrociano con quelle di un insegnante (Valerio Mastandrea) che, consapevole del ruolo che ha nel costruire l’Italia del futuro, si lascia coinvolgere e trova la forza per affrontare la sua malattia.




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