Mosca, la visione notturna di Ehrenburg

Nel bel romanzo di Ilja Ehrenburg “Nel vicolo Protocny”, troviamo due immagini notturne molto suggestive della capitale russa. Nella prima Mosca è vista dall’alto, mentre nella seconda entriamo nel cuore della città, nel vicolo Protocny, che sorge sulle rive del fiume omonimo che attraversa la città

Uno dopo l’altro se ne andavano gli avventori, soddisfatti fino alla sazietà; certuni, che avevano alzato un po’ troppo il gomito, venivano trascinati via. Ma Tania e Prachov continuavano a sedere uno di fronte all’altra, come due viaggiatori che non si conoscevano, in attesa del treno. I loro occhi guardavano in direzioni diverse; entrambi tacevano.

Incominciava ad albeggiare allorché si alzarono.

Prima di scendere le scale, uscirono su una veranda aperta. In basso si stendeva Mosca, l’immensa città misteriosa: case, cupole, giardini, tutto ora serrato in massa, ora sparso a caso; non città, ma caos. Non so se abbiate mai avuto occasione di guardare dall’alto Mosca: è i uno spettacolo straordinario, che riempie l’anima di orgoglio e di disperazione. Si può sentirsi trasportati: la città è bella, pomposa, tutta abbondanza; sembra che un’impronta di ispirata libertà la segni; non vi sono viali troppo diritti, non vi è uniformità malinconica, le case non sono simili una all’altra; ognuno fa quel che può, perfino la miseria è cordiale. […] La città? No, non è una città: è un pesante groviglio di sogni, nel quale non vi è amore umano capace di sostenere il viandante stanco lungo la strada della vita, non volontà, non eroismo, non ragionevolezza. Pare che dinanzi agli occhi passino come in sogno ora una cupola variopinta a forma di cipolla, ora un grattacielo moderno, ora una catapecchia di legno, ora un bazar, ora un terreno vuoto: il tutto tanto assonnato e spettrale che vien desiderio di esclamare: “Amici miei, è dunque questo il nostro grande centro?”.
Né Tania né Prachov s’impensierivano di cose tanto sublimi e tanto futili, ma tutta la fragile solennità di Mosca penetrava nei loro cuori.

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SULLE RIVE DEL MOSCA

Il vicolo Protocny è gobbo. In alto c’è lo Smolensky, con i banchi dei mercanti, le osterie, il vocio dei sigarai, i militi, insomma la vita; in basso c’è il fiume, cioè la frescura, il riposo, la quiete. Certo, il nostro fiume non è un gran che, i viaggiatori di passaggio lo deridono: “Un mare! Non se ne vede l’altra sponda!”; ed in verità d’estate il fiumiciattolo è magro e sembra perfino che i ragazzi, rimboccandosi i calzoncini, possano passare felicemente all’altra sponda, al Dorogomilov. Non è uno spettacolo pomposo, ma semplicemente un po’ d’acqua. Però, per il vicolo Protocny lì c’è la bellezza, la commozione e, per usare una parola di moda, l’igiene. Tutti hanno perso la testa a proposito dell’igiene: tutto puzza, la gente vive agglomerata, come nello sterco di mucca, non cambia camicia da Natale a Pasqua, di modo che essa brulica di parassiti; ma tutti rispettano l’igiene. Perfino l’osteria nelle cui pentole arrostisce mestamente la trippa o bolle la zuppa di cavolo, dove gli avventori bevono la vodka dalle teiere e rissano fino allo spargimento di sangue, ma senza far rumore, perfino quella lurida osteria si denomina fieramente: “Trattoria dell’igiene”.

La domenica tutto il vicolo Protocny rotola in basso, verso il fiume. Il segretario del Fanerotrest prende bagni di sole, cercando di diventar nero perfino sotto le ascelle. Pancratov, dopo essersi fatto il segno della croce, scende passo passo nell’acqua, si tuffa, sbuffa, sputa si gratta la schiena; resta a lungo così in acqua, tutto paonazzo, massiccio, lucido, simile a un monumento di rame. Intorno girano come trottole i Persiani; la cittadina Loiter dà da mangiare, non si sa se ad Ossienkga o ad Ilik, delle uova sode; tutta la canaglia s’espande come un ventaglio aperto, gioca a carte, bara, bestemmia, ma, solleticata dal leggero venticello, si cheta. Un vero benessere! Si può sedersi lì e meditare. […]

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Ma nei giorni feriali tutto è silenzio, pace. Si ode soltanto l’imprecare di qualche battelliere che fa il traghetto. Gli è stata rifilata una moneta dei tempi dello zar: benché l’aquila sia un uccello imponente, orami non vola più. Alcuni ragazzi vengono di corsa, fanno un po’ di baccano, quindi si tuffano, poi tornano indietro, sullo Smolenky: laggiù ci si diverte maggiormente. Sulla riva dorme qualche cittadino che ha dimenticato di rincasare la sera innanzi, dopo un banchetto. Tutto è vuoto, triste. Gli affari del battelliere vanno male: la gente che abita sull’altra sponda – dove ci sono pure casette color d’albicocca e azzurrognolo – traghetta di rado; preferisce, in maggior parte, fare il giro del ponte: “A forza di economizzare i copechi, si economizza un rublo”. E verso notte anche le ultime figure scompaiono. I truffatori son tutta gente paurosa che teme i propri simili; benché abbiano addosso soltanto dei calzoni laceri, chissà, l’ubriachezza può annebbiare la vista, e il coltello si maneggia facilmente… Nelle notti senza luna tutto è scuro, come se questa non fosse Mosca, ma un deserto, una terra lontana. […]

Quali miracoli non compie lì la notte! L’acqua nera scintilla e sembra pensierosa; il Mosca pare un fiume immenso, largo, profondo. I lumi del Dorogomilov tremolano come misteriosi fari; questo non è piùun sobborgo polveroso, dove si trovano una fabbrica di birra, misere bottegucce di calzolai e un cimitero; è una città mai vista. Forse laggiù ferve una vita rumorosa, piena di allegria, di luce, di musica? Ma qui vi sono solo acqua e stelle, qui ogni suono è inatteso, commuove il cuore: il passo frettoloso di un ritardatario ci rammenta: “Ecco, anche tu, come me, sei stato sorpreso dalla notte, lontano dal tuo letto e dalla felicità”; e la stridula musica di un’armonica, portata dal vento, è capace di far sgorgare lacrime: come sa amare la gente, come sa laggiù, nelle stamberghe del vicolo Protocny, trovare simili suoni per esprimere i sentimenti! Ma più di tutto ci ammalia il silenzio. Ogni volta che fenico lì, dimenticavo tutte le mie pene, la mia vanità scomparsa, la vecchiaia incipiente, i vicini, il fatto che abitavo nel vicolo Protocny; dimenticavo tutto e dinanzi a me si apriva una semplice verità: è bello vivere sulla terra, e tutto è stato inventato meravigliosamente: il fiume, i lumi lontani, il respiro umano.

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(da Nel vicolo Protocny, Dall’Oglio, tr. di S.I. Féline)


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