Memoria maremmana, quando salvare gli ebrei era la cosa più normale

di Stefano Pacini

Ho avuto la fortuna di vivere in una famiglia che faceva della memoria una delle sue più importanti fondamenta. Senza enfasi o vanti. In modo naturale, come era in uso nelle campagne fino agli anni Sessanta almeno, prima che l’onnipresenza televisiva, la frammentazione e accelerazione delle nostre vite rendessero questo sempre più difficile e sporadico.

Ma durante la mia giovinezza la sera tardi vicino alla stufa a legna d’inverno, e all’aperto con i vicini d’estate, era un naturale fluire di racconti che di volta in volta componevano il mosaico della mia famiglia e di una terra, intrecciando le piccole storie con la Storia. I miei genitori erano nati negli anni Venti e cresciuti durante il fascismo, nelle campagne tra Colle Val D’Elsa e Scorgiano sulla montagnola senese. Mia nonna Beppina invece era del 1901, aveva conosciuti tempi più liberi benché tumultuosi, compreso il biennio rosso che aveva tanto spaventato nobili e agrari corsi a finanziare e fornire la prima manovalanza con i loro tirapiedi al fascismo nascente.

Non aveva mai visto di buon occhio il regime, perciò esercitò sempre una resistenza personale con atti che a lei parevano assolutamente naturali quando me li raccontava. Di questi ne ricordo bene un paio, databili intorno al 1936, con il regime al massimo del consenso, nell’anno della proclamazione dell’impero.

Quando i fascisti le chiesero di donare “volontariamente” l’oro alla patria contro le sanzioni che la Società delle Nazioni ci aveva imposto per la nostra guerra di aggressione all’Etiopia , si rifiutò decisamente. Precisandomi che “volevano la fede d’oro del mio matrimonio: era l’unica cosa che mi aveva lasciato mio marito prematuramente scomparso, oltre a tre figli, figurati se la potevo dare a quei beccamorti”. E poi aggiungeva: “Invece la Fattoria di Scorgiano gli dette anche i cancelli in ferro lavorati del secolo prima, ma loro erano culo e camicia con quella gente”. E quando mia madre vinse un viaggio premio a Roma (a Piazza Venezia per un discorso del duce) con la migliore poesia sulla primavera della sua scuola elementare, le impedì di andarci spiegandole che non sarebbe andata a osannare “Mascellone” con quella fanatica della maestra e le sue protette. La tenne a casa con una scusa e le regalò tre penne di pavone. Le ho ancora in casa, tra le loro foto.

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memoria maremmana

Fin qui mia nonna. Mia madre aggiungeva spesso e volentieri il passaggio del fronte, la guerra, gli spaventi, i lutti. Dopo tanti anni avevo ormai imparato a memoria molti suoi racconti che spesso, come accade alle persone anziane, ripeteva quando si presentava l’occasione. Per cui feci un salto quando un giorno, ascoltando in TV che era stata istituita la giornata della Memoria, tra un paio di racconti di guerra che conoscevo alla perfezione, mia madre ne aggiunse un terzo.

Me lo raccontò ridendo perché, pur nel pericolo di quei giorni, aveva per lei un risvolto comico. Si trattava dell’accoglienza di una famiglia di ebrei fiorentini, nascosti e salvati da tutta la piccola comunità di Scorgiano. Ricordava come la famigliola all’inizio fosse ospite del prete e per non destare sospetti andasse a messa tutte le domeniche. Ma quando la voce si cominciò a spargere e il fronte ad avvicinarsi, era l’estate del ’44, il parroco ed altri decisero di nascondere padre, madre e i due figli presso un podere più appartato e sicuro.

A questo punto del racconto mia madre iniziò a ridere: “Pensa, li avevano messi dal contadino più chiacchierone della zona, uno che non teneva manco un cecio, ma quando gli spiegarono la faccenda, dalla paura quasi non parlava più!”

Il salvataggio andò a buon fine. Il capofamiglia ebreo era un sarto di buon livello, dopo la sua salvezza ringraziò cucendo una bandiera rossa con la falce e martello in oro per la sezione del PCI appena riaperta, tra gli altri, dal contadino che li aveva nascosti.

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Quando domandai a mia madre se non avessero avuto paura in quei lunghi mesi ( si rischiava la fucilazione, mentre, per chi avesse fatto la spia, forti ricompense in denaro), lei mi rispose stupita: “Mah, no, i pochi fascistoni erano scappati o comunque avevano paura, sapevano di aver perso, cercavano di arruffianarsi, erano già pronti a cambiar casacca. E poi non potevamo fare altro, che c’è di strano?”

E doveva essere così per tutti, perchè non trovate traccia di questo episodio nei libri di storia locale. Mia madre, che mi aveva raccontato tanti episodi della guerra, questo me lo raccontò per caso, senza dargli molta importanza. Ecco, adesso ne faccio Memoria, anche se non dovrebbe esserci niente di strano.


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