Di amianto si muore ancora oggi

Illustrazione di Francesco Ciampa

EPISODIO 5

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A partire dallo scorso luglio 2021, di fronte alla Corte d’Assise di Novara, è ripreso il processo Eternit-bis che vede imputato di omicidio volontario di 392 persone morte per esposizione a fibre di amianto l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny. Da anni i famigliari delle vittime d’amianto di Casale Monferrato chiedono giustizia per una mattanza che poteva essere evitata: già dagli anni sessanta diverse ricerche mostravano come le polveri d’amianto provocassero una grave forma di cancro. La fabbrica di Casale Monferrato ha chiuso nel 1986, ma la malattia ha un periodo di incubazione di circa trent’anni e coloro che hanno vissuto vicino allo stabilimento corrono tutt’oggi gravi rischi per la salute.

“Non era mai entrato all’Eternit, non aveva parenti che lavorassero all’Eternit, però si è ammalato: ha respirato l’aria sbagliata”.

[Assunta Prato, Associazione familiari vittime di amianto (AFEVA)]

Quando la verità iniziò a venire a galla i media l’hanno ribattezzata la fabbrica del cancro. Lo stabilimento Eternit di Casale Monferrato si estendeva su un’area di circa 90mila mq, praticamente al centro della città, e dava lavoro a migliaia di persone ed era il più grande sito produttivo di amianto in Europa.

“Una storia lunga un’eternit” questa, come il titolo del libro della giovane autrice Giulia di Leo, cominciata agli inizi del ‘900 e che ancora oggi ci appartiene. Una vicenda dove potere economico, sviluppo e sudditanza al profitto si uniscono in una danza mortale che ancora oggi provoca uno stillicidio di morti non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo, dove l’amianto continua ad essere prodotto e commercializzato.

In prima linea, oggi, i familiari delle vittime che da decenni ormai si fanno voce per tutti coloro che oggi non possono più entrare nelle aule della giustizia. Una lotta contro giganti piena di ostacoli e delusioni, come quella della discussa decisione della Corte di Cassazione del 2014 che ha fatto andare in prescrizione la condanna nei confronti del magnate svizzero Stephan Schmidheiny, ultimo proprietario dell’industria Eternit dal 1976 al 1986, a 16 anni di carcere per disastro ambientale doloso.

“Questa battaglia la sento parte profonda del mio essere, non riesco a immaginare la mia vita senza che io mi occupi di queste cose perché questa è stata un’ingiustizia troppo profonda”, spiega Assunta Prato.

Insegnante in pensione, Prato è membro dell’Associazione Famigliari Vittime Amianto da quando ha perso il marito per mesotelioma pleurico, nonostante questi non avesse mai avuto a che fare direttamente con l’Eternit.

Per lei e per le altre persone coinvolte, direttamente o indirettamente, si è aperto un nuovo capitolo giudiziario e con questo una nuova ventata speranza per i testimoni che di nuovo tornano in aula per raccontare le loro storie. Al banco degli imputati della Corte d’Assise, allestita nell’aula magna dell’Università del Piemonte Orientale di Novara, sempre lui, Stephan Schmidheiny, questa volta con l’accusa di omicidio volontario plurimo, con dolo eventuale, di 392 vittime del territorio di Casale, di cui solo 62 ex-dipendenti.

Nessuno allora sapeva che molto presto quello che era diventato il motore economico di Casale Monferrato si sarebbe tramutato in una tragedia e che quella bianca polvere di fibre di amianto, che tingeva i tetti e le strade della piccola cittadina, alla lunga avrebbe tolto il respiro, letteralmente.

“Ricordo che quando eravamo in vacanza io mia sorella e mio fratello aiutavamo mia mamma in negozio ed entravano i dipendenti dell’Eternit con la loro tuta blu, era una cosa normalissima. Lavorare all’Eternit era ritenuto un privilegio, era un lavoro sicuro e si guadagnava bene“, spiega Mirella Berta, insegnante e attivista per l’AFEVA.

Del resto, “se chiedi a un operaio se vuole lo stipendio oppure non lo vuole, è evidente che lui sceglierà la prima opzione”, chiosa Mirko Oliasto, coordinatore locale della Cgil. “Poi però sono iniziati a morire i colleghi di lavoro, e nessuno poteva mettere in dubbio questo”

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Oggi, se ti viene la tosse e sei di Casale Monferrato l’unica cosa che speri è che non si tratti di quel ‘mal d’amianto’, quel maledetto male che se rimane latente fino a 40 anni dalla tua prima esposizione, inizialmente ti crea affanno e poi ti conduce ad una lenta morte per soffocamento.

“Con una diagnosi del genere la tua vita cambia completamente, specialmente 27 anni fa”, prosegue Prato. “L’idea dell’impotenza è una cosa devastante, un conto è se ti aggrappi ad una speranza ma lì non c’è nessuna speranza, c’è solo l’idea che ogni giorno può essere uguale o peggio del giorno prima”.

Oggi sappiamo che tantissime vite potevano essere salvate se i padroni dell’amianto non avessero attuato una mirata campagna di controinformazione per occultare tutte quelle evidenze scientifiche che già a partire dagli anni ’50, e in particolare dal 1963, anno in cui al XIV Congresso Internazionale di Medicina del Lavoro venne specificatamente discussa l’alta incidenza di mesotelioma fra i lavoratori esposti all’amianto, accertarono l’alta pericolosità dell’esposizione alla fibra killer. Tra gli strumenti di occultazione della cancerogenicità dell’amianto sicuramente risalta l’inquietante rapporto Ausl 76: un vero e proprio manuale operativo destinato ai dirigenti degli stabilimenti munito di risposte pronte da dare in caso di domande scomode o proteste da parte dei lavoratori.

Nel rapporto si legge:

Ci rendiamo conto, che questo rischio potenziale nei confronti della salute viene usato da molti come motivo base per poter discreditare l’amianto in maniera decisamente esagerata, non fattiva e particolarmente prevenuta. Dal momento che questa diffamazione può mettere a repentaglio l’esistenza della nostra industria, dobbiamo reagire in maniera decisa e dobbiamo combattere con tutti i nostri mezzi”.

[Rapporto AUSL76]

Per gli operai non vi fu la necessità di alcun documento scientifico o dichiarazione ufficiale per capire che qualcosa dentro quelle mura non andava. Alla fine degli anni ’70 l’ingresso della fabbrica cominciava ad essere tappezzato di manifesti funebri di lavoratori e lavoratrici mancati prematuramente, e ancora oggi, a decenni dalla chiusura della fabbrica, ne muoiono una cinquantina all’anno solo nella provincia di Alessandria. Di fronte a questa strage negli ultimi anni di produttività dello stabilimento furono prese alcune precauzioni, tra queste l’installazione di ventoline che avrebbero garantito il riciclo dell’aria, un finto gioco delle parti semplicemente per mettere a tacere coloro che incominciarono a preoccuparsi seriamente della nocività del materiale.

Il 4 giugno del 1986 lo stabilimento Eternit di Casale Monferrato ha dichiarato fallimento dopo l’ordinanza emessa dal sindaco Riccardo Coppo che vietò su tutto il territorio l’impiego di amianto. Pochi anni dopo, nel 1988, nasceva dell’Associazione famigliari lavoratori eternit deceduti (AFLED) oggi nota con il nome Associazione Familiari delle Vittime dell’Amianto (AFEVA), un’iniziativa nata per ottenere giustizia ma anche per promuovere attività di sensibilizzazione e di educazione volte soprattutto alle giovani generazioni che non hanno visto ma che hanno vissuto il dramma nelle loro famiglie.

Mirella Berta spiega la difficoltà di raccontare queste vicende a scopo pedagogico coinvolgendo le famiglie: “È un discorso molto difficile con i bambini piccoli, tant’è che alcune maestre ci hanno criticato accusandoci di angosciare i bambini. In realtà questo percorso nelle scuole serve a rassicurare sapendone di più, siamo cittadini di Casale d’altronde, e prima o poi tutti avranno a che fare con questo problema“.

Ma gli attivisti non hanno incontrato problemi solo a scuola: “Abbiamo scoperto recentemente che la politica recente di Schmidheiny prevedeva il controllo della stampa. Avevano incaricato un’agenzia di comunicazione che facesse in modo che le denunce non andassero oltre i livelli cittadini e non toccassero i massimi dirigenti”, spiega Assunta Prato. “Ma c’è ancora oggi tanta disinformazione perché in tanti posti il dramma dell’amianto viene visto come relativo a Casal Monferrato e non una questione mondiale”.

Con la legge 257 del 92 il nostro Paese ha messo al bando l’amianto, nonostante ciò, l’emergenza inquinamento amianto ancora oggi risulta drammatica. Se Casale Monferrato sta per diventare la prima città completamente bonificata d’Italia, attualmente nella Banca dati amianto risultano circa 108.000 siti interessati dalla presenza di amianto, un dato quest’ultimo particolarmente allarmante soprattutto se si pensa che la presenza di amianto interessa strutture come numerose scuole e migliaia di chilometri di tubature di acquedotti in tutta Italia.

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Sebbene quella dell’amianto per molti possa suonare come una storia che appartenga al passato, la realtà ci dice tutt’altro: di amianto si continua a morire e ogni anno si stimano per difetto oltre tremila vittime. Il picco di mesoteliomi e di altre patologie asbesto correlate negli anni è continuamente slittato in avanti e oggi è previsto tra il 2025 e il 2030.

La vicenda Eternit è una di quelle storie emblematiche del nostro Paese che ci ricorda vicende del nostro presente dove la tutela del diritto alla salute e la sicurezza dei lavoratori vengono calpestati dagli interessi economici e dalla connivenza della politica. Parliamo di migliaia di malati e di morti causati da coloro che hanno una perfetta consapevolezza del problema ma che preferiscono occultare la verità in nome del profitto, e questo succede ogni giorno.

Ma oltre ad insegnarci quanto possa costare in termini di vite una politica che difende i potenti nella totale non curanza della salute pubblica, la vicenda ci mette anche in guardia rispetto ai costi esorbitanti di un disastro ambientale rispetto alla prevenzione. Soltanto in Piemonte sono presenti cinque luoghi contaminati classificati come siti di interesse nazionale, Cengio, Casale Monferrato, Serravalle, Pieve Vergonte e Balangero, la più grande miniera a cielo aperto d’amianto in Europa dove ogni anno vengono investiti milioni di euro per portare avanti gli interventi di bonifica.

L’unica discarica pubblica che c’è in Italia è quella di Casale Monferrato, questo rivela che a livello istituzionale fino adesso non ci si è occupati dello smaltimento ma si è lasciata alla fantasia e all’interesse dei singoli privati l’iniziativa di aprire discariche”, spiega il geometra Antonio Ghione, tecnico ambientale per la sicurezza sul lavoro. “Non lontano da qui a Salussola (in provincia di Biella) un privato ha presentato il progetto di una discarica di amianto su suolo agricolo incontaminato destinato ad una coltivazione di eccellenza, il riso di Baraggia biellese e vercellese. Il problema è che queste non sono decisioni che dovrebbe prendere un privato bensì il pubblico nell’interesse della salute dei cittadini e del territorio”.

C’è ancora oggi tantissima disinformazione, in tanti posti il dramma dell’amianto viene visto come il dramma di Casale Monferrato e non è assolutamente vero, questo è un problema mondiale: nei due terzi quasi dei Paesi del mondo si continua ad estrarre, lavorare e commercializzare amianto”.

Se allarghiamo lo sguardo al di fuori del nostro Paese scopriamo una realtà inquietante. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità le vittime superano di gran lunga la cifra dei 100.000 morti e ogni anno più di 125 milioni di persone entrano in contatto con l’amianto. In alcuni paesi del mondo, inoltre, non vige ancora il divieto di estrazione e utilizzo del materiale. Questo è il caso della Russia, più grande produttore mondiale di amianto con una produzione annua di circa 790.000 milioni di tonnellate, seguita da Kazakistan, Cina, Brasile e persino gli USA, dove l’amministrazione Trump ha reintrodotto l’uso dell’amianto nell’edilizia bandito nel 1989, senza contare poi che il materiale estratto e i prodotti derivati vengono esportati in tutto il mondo.

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Oggi a Novara sventolano di nuovo le famose bandiere “Eternit giustizia”, a portarle sono donne e uomini che alle spalle portano il peso della consapevolezza che questa battaglia sarà ancora lunga e difficile, con esito ancora oggi tutt’altro che certo. “Vengo perché sono un pensionato e ho tempo di seguire, ma non do tanta fiducia. Andiamo avanti con questa giustizia, almeno che puniscano la persona che ha causato tutta questa cosa qui”, dice Angelo Marinotto, un ex dipendente dell’Eternit che ha perso sua moglie a causa dell’amianto. Per Assunta Prato “è molto importante esserci, anche solo simbolicamente, perché mia mamma non è più in questo processo. Credo che la giustizia possa lenire questo dolore per il fatto di poter dire che mia mamma è morta per questa malattia legata ad una causa specifica che è l’amianto. Non è solo una questione personale, è una questione che riguarda tutti”.

Questo processo non solo significherà punire i colpevoli ma scuotere la coscienza del nostro Paese e di chi ha responsabilità di garantire salute e prevenzione dei propri cittadini. Stabilire quello che non si doveva fare significherà stabilire anche ciò non si dovrà fare creando così un precedente per le altre numerose battaglie in corso nel nostro Paese contro i crimini d’impresa. 

Questa è la storia della giustizia, un tortuoso percorso per il riconoscimento della sofferenza causata dalla scomparsa di migliaia di persone la cui unica colpa è stata quella di respirare l’aria sbagliata, morti evitabili, che nessun indennizzo potrà mai risarcire.

Il giudice di cassazione aveva detto che tra la giustizia e il diritto lui avrebbe scelto il diritto. Io vorrei che si scegliesse finalmente la giustizia, non andando contro il diritto dell’imputato, ma noi chiediamo giustizia“.

Assunta Prato

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Profilo dell'autore

Ilaria Cagnacci
Ilaria Cagnacci
Appassionata di Balcani, sono attivista per i diritti umani con Amnesty International e seguo i movimenti dal basso. Dopo essermi laureata in Relazioni Internazionali e Cooperazione allo Sviluppo a Perugia, mi sono specializzata in Democrazia e Diritti Umani nel Sud Est Europa a Sarajevo. Credo fermamente nella possibilità e nella necessità di immaginare e realizzare un sistema diverso da quello attuale che ha generato una ricchezza enorme per pochi a discapito dei molti e a danno del pianeta. Su questa linea, mi sono interessata alle lotte per il bene comune, o commons, per il potere trasformativo che queste lotte possono avere, non solo nel rimodellare la nostra relazione con la natura, ma anche all'interno delle comunità stesse innescando nuove forme alternative di cooperazione e solidarietà. Attualmente mi occupo principalmente di tematiche legate all’ambiente, ed in particolare ai conflitti ambientali nei Balcani, perché un ambiente salubre è parte integrante e fondamentale per il pieno godimento dei diritti umani. Sono convinta che tutti gli esseri viventi sulla terra debbano avere gli stessi diritti e le stesse possibilità per difenderli, per questo motivo mi definisco anche un'attivista per i diritti della natura.

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