Arabia Saudita, l’attivista Badawi rischia la pena di morte per apostasia

“L’Arabia Saudita segue un’interpretazione rigida della legge islamica, e prescrive la pena di morte per omicidio, stupro, rapina armata, traffico di droga, stregoneria, adulterio, sodomia, omosessualità, rapina su autostrada, sabotaggio, apostasia (rinuncia all’Islam). L’Arabia Saudita ha un numero di esecuzioni tra i più alti al mondo, sia in termini assoluti che in percentuale sulla popolazione”. Inizia così il rapporto di Amnesty International sulla pena di morte di quest’anno.

E l’Arabia Saudita continua a non smentirsi. Lo scorso 18 dicembre l’attivista dei diritti umani Raef Badawi è stato rinviato a giudizio per apostasia. Arrestato lo scorso giugno a Gedda, mentre stava per imbarcarsi in un aereo diretto a Beirut, non sono mai state chiare le sue accuse. L’unica certezza è che in futuro potrebbe essere condannato a morte.

La sua colpa? Aver fondato l’associazione “Liberal Center”, insieme all’attivista Suad al Shammari. Non solo. Durante la Giornata della libertà, proclamata da loro il 7 maggio scorso, vi fu una conferenza sui diritti umani che fece infuriare le forze di sicurezza saudite. Fino al rinvio a giudizio, poco o nulla si era saputo sulla sorte di Raef Badawi (FIRMA LA PETIZIONE PER SALVARLO).

Stesso destino per Hamza Kashgari, giovane giornalista saudita condannato lo scorso febbraio per un tweet sul profeta Maometto che diceva “Nel giorno del tuo compleanno non mi inchinerò davanti a te. Di te amo alcune cose ma ne detesto altre, e sul tuo conto ci sono molte cose che non ho capito”. Trentamila persone l’hanno pubblicamente accusato di blasfemia e a nulla sono valse le pubbliche scuse. Immediata la cancellazione della sua rubrica sul quotidiano Al-Bilad da parte del Ministero dell’Informazione e proibito a tutti i media di pubblicare il suo lavoro.

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Dopo che 16mila persone avevano chiesto su internet la sua condanna a morte, Hamza Kashgar aveva deciso di scappare per la Nuova Zelanda. Durante lo scalo in Malaysia però, venne arrestato e deportato nuovamente in Arabia Saudita, dove rischia la pena di morte.

Attualmente non si hanno notizie della sua situazione. Quello che si sa, è che le procedure dei processi non sono certo quelle che potremo definire eque e che sono rare le circostanze in cui è previsto un avvocato che rappresenti l’imputato. A volte, per una condanna, basta una confessione estorta a forza o con l’inganno.

Ilaria Bortot


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