Lasciare tutto per insegnare il calcio ai bambini dello Zambia

Whānau significa “famiglia”, in lingua maori. Ed proprio “educare a diventare famiglia” il significato che ha voluto dare al proprio nome l’Onlus Whanau, associazione che nasce per “educare all’amore gratuito, verso se stessi e verso l’altro”.

E lo fa soprattutto in Zambia, terra in cui da anni porta avanti progetti educativi che interessano aree ludiche, sportive e socio-sanitarie.

Nel 2016 Whanau Onlus lancia un nuovo progetto, Hopeball, per “educare alla speranza” ragazzi e bambini di un piccolo villaggio dello Zambia. Lo fa attraverso un’attività che appassiona gli stessi volontari: il calcio.

“Qui ho potuto mettere assieme il calcio, mia grande passione, e il mio sogno di condivisione con quei bambini che purtroppo non hanno accesso all’istruzione”, ha dichiarato Gian Marco Duina, volontario dell’associazione. A causa di un infortunio Gian Marco ha dovuto abbandonare il calcio, non rinunciando però alla passione che lo spingeva a fare ciò che faceva; ha quindi lasciato Milano con uno zaino in spalla e un pallone da calcio, per andare a vivere nel villaggio di Manungu. “Con la mia attività promuovo uguaglianza, coesione, rispetto ma anche emancipazione e valorizzazione personale”, continua Gian Marco.

3 marzo - "Dopo il risultato di ieri dell'Inter, i ragazzi oggi si sono presentati all'allenamento cosi"
3 marzo – “Dopo il risultato di ieri dell’Inter, i ragazzi oggi si sono presentati all’allenamento cosi”

 

L’educazione è l’aspetto principale del progetto. Vivere il progetto sportivo in chiave educativa significa far esprimere il soggetto nella sua totalità, favorendo i processi di costruzione identitaria e la valorizzazione della persona; l’allenatore-educatore attiva percorsi di apprendimento concentrandosi sugli aspetti della personalità, sulle dinamiche di vita, sulla corporeità e, quindi, sulle storie personali dei soggetti. Nell’ottica di uno sviluppo emancipativo dei soggetti in quanto persone, stimolando costantemente l’esercizio della libertà e della creatività individuale.

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“L’allenamento fisico non ha solamente lo scopo di potenziamento ma, soprattutto, di permettere una conoscenza più approfondita del proprio corpo in relazione con se stesso, lo spazio e i compagni”, scrivono i volontari sulla pagina Facebook.

 Ma perché concentrare il progetto educativo proprio sullo sport? Ci rispondono i volontari, partendo dal significato della parola stessa.

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“È curioso ed emblematico come dal semplice punto di vista lessicale la parola sport sia uno di quei rari termini che non presenta delle traduzioni nelle varie lingue, dandone la definizione universale di ‘un insieme di attività complesse sul piano psico-fisico finalizzate al raggiungimento di un risultato conseguibile attraverso lo spirito agonistico’. È in chiave educativa che va letto il termine agonistico”, prosegue Gian Marco, “in quanto esso caratterizza la situazione nella quale i contendenti non si comportano da nemici ma da avversari, cercando di superarsi reciprocamente secondo modalità stabilite e precedentemente accettate: in quest’ottica l’avversario è il mezzo fondamentale per misurarsi in un comune accordo di osservazione delle regole e di rispetto, confrontandosi in un’ottica costruttiva ed emancipante, sperimentandosi in maniera critica nel rispetto del fair play: ecco come lo sport permette di sperimentare e rafforzare una moltitudine di competenze trasversali che possono essere utilizzate anche in altri ambiti di vita. Prima tra tutte l’imparare a fronteggiare i problemi in maniera efficace”.

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Quando i grandi giocano, i piccoli si siedono sugli "spalti" e ammirano
Quando i grandi giocano, i piccoli si siedono sugli “spalti” e ammirano

All’interno del gruppo sportivo i soggetti sperimentano competenze sociali tra cui la tolleranza, il rispetto reciproco, la collaborazione e l’interiorizzazione delle regole. Con questo approccio lo sport diventa esperienza, formazione identitaria, strumento veicolatore di cultura e momento di socialità. Permettendo la sperimentazione libera e l’apprendimento di una serie di risorse cognitive e comportamentali funzionali al processo di crescita, di costruzione e al consolidamento di un immagine personale e sociale di sé.

“Qualche settimana fa sono stato chiamato ad assistere ad un’amichevole tra due squadre del villaggio.
Con il punteggio inchiodato sullo 0-0, a un minuto dalla fine della partita, un calcio di punzione sblocca la partita: è 1-0”, commenta Gian Marco. “Le scadenti immagini che vi propongo sono i festeggiamenti dei bambini per il gol appena segnato. non ci sono immagini che possano rendere giustizia alla gioia sui loro volti e, tanto meno, all’emozione che ho provato io. Questi bambini sono l’anima dello sport. Lo sport è gioia, è libertà! Lo sport è speranza”.

 

 

Il progetto educativo-sportivo Hopeball si concentra su tre dimensioni. Quella democratica, interculturale e ludica.

Innanzitutto l’allenatore si impegna a far sviluppare il confronto tra gli atleti, sollecitando cosi la conoscenza di sé attraverso la comprensione dell’altro e la valorizzazione del diverso. Creare un contesto e una atmosfera democratica permette a chiunque di sperimentarsi liberamente prendendo consapevolezza delle proprie capacita e dei propri limiti.

L’allenatore si impegna poi a rendere lo sport uno strumento di valori universalmente condivisibili progettando percorsi di educazione alla pace, alla solidarietà, al rispetto dell’uomo, della vita e delle diversità.

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Infine l’allenatore si impegna a mantenere costantemente presente l’aspetto ludico; esso permette di creare un luogo di gioia, spensieratezza e piacere creando ruoli e relazioni sociali diversi da quelli comuni: la dimensione ludica dello sport permette di vivere stati d’animo quotidiani con maggiore leggerezza (gioia per una vittoria e dolore per una sconfitta). Rivalità, forza, coraggio, vittoria, sconfitta, competizione e collaborazione diventano dunque occasione di una presa di coscienza delle molte facce di sé.

 

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