L’espansionismo russo passa dal nucleare

di Kramen Kraev*

Chi monitora le dinamiche russe sa bene che petrolio e gas dominano quasi tutti i dibattiti sulle politiche energetiche del Paese, che esercitano un ruolo fondamentale nell’attuazione della politica estera. Da una prospettiva europea, questo è più che comprensibile, data l’importanza cruciale della Russia, che rifornisce di gas gran parte del Continente. Ho scritto più volte sul peso delle politiche energetiche della Russia nel sud-est europeo. Molti analisti monitorano lo sviluppo dei principali progetti di condutture (sotto le acque del Mar Nero o del Mar Baltico) e seguono le varie dispute sul transito di gas attraverso l’Ucraina. Si corre però il rischio di trascurare un’altra industria cardine, sotto il controllo di Mosca: l’energia nucleare.

Mentre il prezzo basso di gas e petrolio ha permesso una forte esportazione di combustibili fossili, che costituisce una parte molto importante del reddito del Paese, l’industria nucleare ha bisogno di espandersi ulteriormente sulla scena mondiale. La Rosatom, fiore all’occhiello del settore nucleare statale russo, è riuscita negli ultimi anni nell’ambiziosa impresa di vendere energia e tecnologia elettrogena sia a nazioni storicamente partner che ad economie in via di sviluppo. Questi nuovi contratti di cooperazione e queste recenti opportunità commerciali hanno un valore potenziale di miliardi di dollari, e rappresentano un tassello cruciale nel mosaico di diplomazie e strategie politiche della Russia.

Background storico

Attualmente la Russia ha 35 reattori nucleari attivi, che ogni anno producono approssimativamente 25 gigawatt (GW) di elettricità. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), nel 2015 questa fonte ha coperto circa il 19% della produzione elettrica totale. La Russia sta inoltre costruendo sei nuovi reattori nucleari con una capacità congiunta di più di 6 GW, oltre a due reattori “galleggianti” da montare su chiatte. Il grosso della flotta di reattori russi ad oggi operativi è stato commissionato negli anni ’70 e ’80, ed ha già superato i 30 anni di attività.

La Russia ha storicamente trovato un mercato per energia e tecnologia nucleare nell’Europa centrale ed europea, nonché in tutta l’area post-sovietica. Quando erano satelliti dell’Unione Sovietica, Bulgaria, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia (all’epoca Cecoslovacchia) hanno tutte costruito e commissionato diversi reattori ad acqua pressurizzata a progettazione sovietica di tipo VVER. Ucraina, Armenia e Lituania sono state le uniche repubbliche ex-sovietiche a ereditare flotte di reattori nucleari (di tipo VVER ma anche di tipo RBMK, cioè del “tipo Chernobyl”) dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. I due reattori RBMK della Lituania sono stati soppressi prima dell’ingresso nell’Unione Europea nel 2004, ed ora il paese è denuclearizzato. L’Ucraina resta il secondo maggior fruitore di reattori a progettazione russa al mondo, con una flotta di ben 15 reattori VVER. Sei unità VVER sono state costruite anche nell’ex Repubblica Democratica Tedesca, ma ad oggi sono state chiuse tutte. La Finlandia è stato l’unico paese dall’altra parte della Cortina di ferro ad aver costruito e commissionato due reattori VVER durante la Guerra Fredda – tutt’oggi operativi, presso la centrale di Loviisa.

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Polonia, Romania ed ex-Yugoslavia sono stati gli unici paesi “non occidentali” che durante la Guerra Fredda non hanno usato reattori russi per produrre energia. Nel 1975 la Yugoslavia ha optato per un unico reattore Westinghouse di produzione statunitense, oggi operativo in Slovenia, mentre la Romania ha iniziato a costruire negli anni ’80 due unità a progettazione canadese, la cui realizzazione è stata ultimata nel 1996 e nel 2007. La Polonia ha attualmente un solo reattore nucleare di ricerca a progettazione russa, gli altri reattori sono stati tutti dismessi; quando era vicinissima ad avere i suoi reattori VVER, il disastro di Chernobyl ha avuto come conseguenza anche l’abbandono del programma, verso la fine degli anni ’80. L’ex-Yugoslavia e la Romania hanno infine evitato di usare tecnologia nucleare russa per ragioni politiche dettate dalla loro precaria situazione di equilibrio tra Ovest ed Est.

Al di fuori dell’Europa reattori nucleari di progettazione russa sono utilizzati anche in India, Iran e China.

Ambizioni nucleari

Nell’ultimo decennio la Rosatom e la sua rete di filiali si sono impegnati – in modo più o meno diretto – a costruire centrali nucleari in Argentina, Bangladesh, Bielorussia, Brasile, Bulgaria, Cina, Egitto, Finlandia, Ungheria, India, Indonesia, Iran, Giordania, Slovacchia, Turchia, Ucraina e Vietnam. La Russia ha mostrato interesse anche in potenziali partnerships energetiche con paesi africani come Algeria, Etiopia, Kenya, Nigeria e Sud Africa. Sono stati inoltre firmati accordi di cooperazione nucleare civile anche con Laos, Malesia, Birmania e Thailandia. In una recente intervista, un funzionario della Rosatom ha dichiarato che la Russia ha firmato accordi intergovernativi per la possibile costruzione di 36 reattori nucleari all’estero e che sta portando avanti negoziazioni “attive e coerenti” riguardo altre 21 unità.

La via intrapresa è molto ambiziosa ed è difficile credere che tutti questi accordi possano andare avanti senza intoppi. È tuttavia evidente che la Russia stia guardando al di là dell’Europa e dei suoi mercati storici, alla ricerca di nuove opportunità commerciali in ambito nucleare.

Nel summit tra Russia e ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico) – tenutosi il 19 e 20 maggio  a Sochi – il presidente Vladimir Putin ha dichiarato che il suo paese è pronto a fornire reattori nucleari di terza generazione a paesi del sud-est asiatico. L’anno scorso un funzionario della Rosatom ha dichiarato, durante una conferenza in Malesia, che la Russia può aiutare i paesi dell’ASEAN a raggiungere i propri obiettivi energetici attraverso l’erogazione di fondi, la formazione del personale e la gestione delle infrastrutture nucleari. A novembre, durante un evento simile tenutosi a Singapore in November, un direttore regionale della Rosatom ha dichiarato che la costruzione di centrali nucleari potrebbe far crescere interi settori produttivi delle economie emergenti del sudest asiatico. Durante un convegno sull’energia tenutosi a Johannesburg nel febbraio 2016, un altro funzionario della Rosatom ha auspicato che l’Africa inizi ad investire nell’energia nucleare.

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Economia e geopolitica

Ovviamente, da un punto di vista economico, i progetti nucleari richiedono degli elevati investimenti di capitale da parte degli stati coinvolti, investimenti che si traducono in ottimi ricavi di chi fornisce strutture e materiale. Come, ad esempio, la Rosatom.

I costi dei progetti nucleari possono variare, in base alla nazione interessata e alle condizioni economiche locali. Si può comunque dire pacificamente che il costo della costruzione di un singolo reattore possa aggirarsi tra i 3,5 e gli 8 miliardi di euro. Il progetto Paks 2, che riguarda la costruzione di impianti in Ungheria, ha un costo di 12 miliardi e mezzo di euro. Il costo dell’investimento della Russia in Egitto, che consiste nella costruzione di quattro reattori a Daaba, è stato stimato in 22 miliardi di euro. Il costo della centrale nucleare di Hanhikivi, in Finlandia, è stato invece stimato in quasi 6 miliardi di euro a reattore. Ovviamente, nonostante ci possano essere delle variabili regionali, gli investimenti nell’industria nucleare si misurano in miliardi.

Oltre all’investimento iniziale, che è senza dubbio un ottimo affare per la Rosatom, ciò che è ancora più interessante per il colosso russo è la possibilità di fornire combustibile nucleare che i reattori – di progettazione russa – dovranno utilizzare per tutta la durata della loro vita operativa. Parliamo di un periodo che va dai 30 ai 50 anni, il che rende questi affari un flusso di denaro potenzialmente continuo e duraturo. Il combustibile nucleare va rinnovato ogni anno, approssimativamente, a seconda dell’intensità dell’utilizzo che ne viene fatto. I reattori russi VVER, inoltre, funzionano con un combustibile specifico che produce quasi esclusivamente la TVEL, cioè la filiale di produzione di carburante della Rosatom. Se si considerano le regolari manutenzioni e ristrutturazioni – portate avanti ogni anno principalmente da filiali della Rosatom – si può facilmente dedurre che un singolo reattore nucleare a tecnologia russa è in grado di garantire un flusso di entrate quasi sicuro per almeno 30 anni. Un meccanismo commerciale che rasenta il monopolio assoluto, riuscendo inoltre ad evitare di dipendere dalle vie di transito (a differenza di Gazprom, colosso russo del gas naturale).

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Non c’è dubbio sul fatto che il governo russo abbia interessi consistenti nel favorire investimenti nel settore energetico nucleare. La Rosatom, proprio come la Gazprom, è un’azienda controllata dallo stato russo. Risulta difficile credere che le decisioni sugli investimenti dell’azienda siano sganciati dalle strategie geopolitiche portate avanti da Mosca. La storia mostra che la maggior parte degli operatori dei reattori nucleari russi sono stati geopoliticamente allineati all’Unione Sovietica nel passato. Anche oggi vediamo che la politica estera della maggior parte dei paesi con cui la Russia sta facendo affari ha molti punti di contatto (quando non coincide completamente) con quella russa.

 

La Russia ha l’ambiziosa prospettiva di espandere le proprie esportazioni nucleari in tutto il mondo, cercando di conquistare quote di mercato come first mover, mentre le principali industrie nucleari in Europa e in Giappone sono fortemente colpite dalla contrazione delle opportunità di business, da problemi finanziari e dall’opinione pubblica (che è tendenzialmente contraria). I principali rivali dell’espansionismo nucleare russo saranno, a breve e medio termine, Cina e Stati Uniti. Bisognerà vedere allora se ci sarà una netta linea di demarcazione tra affari e geopolitica.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]


*”L’espansionismo nucleare russo e l’arma geopolitica dell’energia” è un estratto del saggio “Russia’s nuclear energy expansion – a geopolitical footprint?” pubblicato da Vox Orientalis, partner editoriale di Frontiere News.

Foto copertina: centrale nucleare di Kalinin, in Russia (fonte: Wikimedia commons)


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